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Cosa ho sbagliato? Delusi o deludenti?

‘Davvero non me lo aspettavo!’. Errori, delusioni  e aspettative ci fanno dire questo molto spesso

Genitori, amanti, amici  e situazioni ‘deludenti’, che ridere! Pensiamo  all’errore. In metrologia è dato dalla differenza tra il ‘valore vero’ e quello di ‘stima’, misurato dalla grandezza presa in esame. In sostanza un ‘errore di valutazione’ dettato da una aspettativa, un fraintendimento e travisamento della realtà (sempre dubbia come oramai sappiamo).

Nell’errore di misura sembra che abbia preso male le ‘misure’ tra ciò che mi ‘aspetto’ (viene prima)  e  quello che succede (viene dopo). Ho forse calcolato male il tempo della mia aspettativa? Ma se per il principio di indeterminazione si dice che non mi è dato conoscere, ad un determinato istante, la posizione esatta e la velocità di una situazione (amore, lavoro, salute), che cosa mi aspetto di sapere?

L’aspettativa è sistematica

L’errore può essere ‘casuale, fortuito per la mia crescita, o ‘sistematico’, da me volontariamente o no ripetuto, sempre a favore del mio sviluppo personale. Allora ho bisogno di errare a tempo indeterminato. Un ‘vagare’ ed un ‘pellegrinare’ che mantengo e ripeto più volte (eccone la ‘sistematicità’) perche, se sbagliando si impara, è con l’errore che si cresce. Abbiamo bisogno di ripeterlo più volte, ognuno a suo tempo  e modo.

In questo ‘errore sistematico’ c’è un guasto di fondo

In potenza l’errore è contenuto ovunque così come l’aspettativa, e pensare di annullarlo  è meno produttivo che ridurlo. L’errore non è solo ‘assoluto, ma anche ‘relativo’, ossia adimensionale (non si misura). Entrambi ci permettono di perfezionarci nella valutazione delle misure.

La delusione. Un guasto di fantasia

La delusione, la cui unità di misura è stimata nel tempo,  si avvicina molto all’errore perché la valutazione che fa della realtà non corrisponde alle sue aspettative generate nell’attesa. Se rimanere delusi ha a che fare con l’aspettare, perché ci stupiamo di quello che succede dopo? Esclamiamo ‘non me lo aspettavo!’.

 Cosa  mi aspettavo se ho alimentate le mi stesse aspettative? Aspetta un attimo!

Ho fatto un errore di misurazione e mi sono illuso. Di certo non lo ho fatto apposta ma, di nuovo, c’è uno scarto tra ciò che immagino e la realtà che percepisco (alterata). Ma come mi illudo  e sono deluso, così mi disilludo.

Cosa c’entra la fantasia? Quando non conosco abbastanza qualcuno, qualcosa o la situazione, mi appello alla mia fantasia per completare le parti mancanti e avere più chiarezza e completezza (le mie naturalmente) per come io le voglio.

Ironia e illusione

Nell’etimologia dell’illusione c’è ‘ironia’. Allora è ironico vedere come proiettiamo sugli altri valori  e desideri che non corrispondono alla loro realtà. Facciamoci una risata! Certamente la delusione fa male, ma invece  di aspettare nuove ‘dorate illusioni’, perché non ci prendiamo una bella pausa e iniziamo  a riderci su?

Divertenti fraintendimenti

A divertire è l’ironico fraintendimento che operiamo tutte le volte che proiettiamo sull’altro o sulla situazione,  e questa proiezione è umana e continua. Il figlio si aspetta qualcosa dal genitore, l’amante dall’amato, l’amico dall’amico e chi più ne ha, più ne metta. E mentre ci disperiamo nella delusione, non stiamo considerando che stiamo aspettando insieme qualcosa l’uno dall’altro. Ecco la parte divertente. L’aspettarsi  e l’aspettare qualcosa è una condizione comune.

La disillusione in compagnia. Farsi una bella risata

Il modo migliore per distruggere le illusioni è con l’ironia. Farsi una bella risata di cuore in compagnia proprio di quelli che, aspettano con noi, nuovi fantasiosi  e reciproci fraintendimenti. Mi conviene ridere tutte quelle volte che non mi accorgo di avere ‘vestito’ i miei genitori, il mio partner o i mie amici, con quei ‘ruoli’ che la società tanto mi richiede e impone.

Nel ‘gioco sociale’ delle parti è giusto ‘indossare’ e rispettare ‘ruoli’ ben precisi e stabiliti. Tuttavia è ancora meglio sapere uscire e tirarsi fuori da questi ‘panni’ tutte le volte che ci vanno stretti o li abbiamo cuciti addosso ad altri. Meglio farlo con una sonora risata a ricordasi che dietro ogni ‘abito’, appeso alle spalle di qualcuno, c’è un essere umano come te che si sta, probabilmente, domandando ‘ma cosa ho sbagliato?’.

Chi è deluso è al tempo stesso deludente se non si permette di ridere di sé stesso, non si spoglia della ‘veste sociale’ e continua a piangere su quello che manca e che il suo aspettare non ha soddisfatto. Chiediamoci non tanto dove, come e quando abbiamo sbagliato ma di quale tipo sia il nostro errore.

Erroretto, errorino o erroraccio? Nel mentre che aspettiamo …..ridiamo!

di Laura Pugliese

 

 

 
 
 
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Indossare la maschera dello sfigato può diventare un trend ricercato e copiato?

E se la favola dello sfigato che si trasforma in una persona di successo e realizza il suo sogno di rivalsa rischiasse di diventare un’altra forma di tendenza?

Dobbiamo splendere! Anzi brillare! Sebbene non tutti raggiungano il ’sogno di gloria’, la possibilità di realizzarsi non si nega a nessuno e si sa che la diversità, quando non separa, attrae. Eccome se attrae!

Chi ci dice che indossare la maschera dello ‘sfigato’, non diventi un trend ricercato e anzi pure copiato? Spesso sì è sfigati non tanto per scelta quanto per necessità. Lo sfigato – tipo, squattrinato, senza charme, è un incapace in società. È un soggetto insignificante (ma per chi poi?), niente e nessuno lo baciano, tanto meno la fortuna.

Ma se pensiamo al ranocchio che si trasforma in principe o al cigno che si crede brutto anatroccolo, questi sfigati sembrerebbero essere gli ‘altri’. In questi casi, allora, la strategia per esistere rispetto agli altri più ‘fighi’ andrebbe validata. O forse si tratta solo di uno spietato fenomeno sociale di compensazione, uno sfigatone ogni tot figaccioni?

Che flop gente!

Giocare a fare lo sfigato in rivalsa per raccogliere accettazione sociale e consenso, più che una strategia auto-validante e vincente, è l’ennesima trappola. Un’astuta tecnica di mimesi. Forse più che una società dell’apparire, siamo una società dell’apparizione.

Sfigato per scelta è rivoluzionario!

Solo lo sfigato per scelta è in grado di fare la sua ‘apparizione’ e ‘rivoluzione’ in una società così data. In un 'mondo gaggio', se i più sono cool, di quale rivoluzione avranno mai bisogno? Loro vivono uniformi e compatti nella loro indiscussa figaggine riconosciuta e approvata dalla stessa ‘appartenenza’ al loro gruppo.

Specchio riflesso. Il gioco dell’accettazione sociale

L’accettazione sociale si costruisce attraverso l’immagine che gli altri hanno di me, come in un gioco di specchi dove l’altro è il mio riflesso e vice versa. Il gruppo che mi accetta è quello dei ‘pari’ o dei ‘più’, tuttavia siamo davvero certi che vadano poi a costituire quel ‘più’ di cui ho bisogno?

Sfigato è stellare!

In astronomia un pianeta compie la sua ‘rivoluzione siderale’ intorno al sole. Ognuno di noi è una stella in orbita che, con moto più o meno costante, sta compiendo la sua rivoluzione. Ogni satellite, percorsa la sua orbita, ritorna al punto di partenza. Possiamo immaginarci anche noi, con l’aiuto di una ‘buona stella’ magari, un po’ come ‘corpi celesti’. Giriamo sul nostro asse alla ricerca di noi stessi. Seguiamo la luce guida di un sole personale. Il sole della nostra autenticità.

Ognuno dunque vive un suo ‘periodo siderale’ che impiega per ritornare nella stessa posizione di partenza tra le stelle. Un richiamo a volere essere ‘brillanti’ di uno ‘splendore siderale’. Stelle fisse di una società dove vive ciò che non scompare. Senza possibilità di scampo insomma? Se l’apparenza inganna, ma sul pianeta terra l’apparire molto conta, in cielo i corpi celesti invece ‘appaiono’ e scompaiono!

Si tratta più che altro di un’apparizione improvvisa e inattesa quella di una stella cometa

Gli sfigati sono gli ‘scomparsi’ in società, ‘stelle cadenti’ che vanno fuori dall’orbita e cadono lungo la scia della loro ‘cometa’, lontane dalla vita del grande e benevolo Sole di società. Ecco perché forse il profilo dello sfigato è ‘basso’. Ci credo non è più in altro tra le fighe stelle del cielo! Che fare? Si inizia a raccontare la favola della povera stella sfigata caduta giù, che realizza il sogno di rivalsa, tenta la salita al cielo e torna a brillare. Ecco qua: sfigaggine come tendenza.

Alle volte, per proteggere la tua unicità, sei costretto ad abbassare un po’ le luci dell’anima per far credere che siano fioche. Alle altre, ti tocca mimetizzarti e lasciare intendere di esserti uniformato.

Se sei sfigato non solo per diversità, ma soprattutto per scelta, per differenziarti, allora sei rivoluzionario e stellare e te ne fai ben poco della vana gloria delle stelle fisse. Meglio brillare, spegnersi e bruciare ogni volta di luce propria, seppur intermittente, che indotta e riflessa.

Certo il percorso te lo indicheranno sempre le stelle fisse che ti fanno ritrovare la strada. Ma è solo attraverso le meteore e le comete che ti puoi perdere a cercarti mentre esprimi un desiderio.

di Laura Pugliese

 
 
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Ma chi ci ha detto che un cantastorie è un bugiardo?

Alla fine tutti scoprono la verità, perché la verità ‘viene sempre a galla’

Quante ‘storie’ sentiamo tutti i giorni, e quante ce ne raccontiamo? Le ‘storie’, in chiave di fiabe, narrazioni o miti, sono delle ‘finzioni’ che erano raccontate già millenni fa e che sono entrate a far parte del patrimonio letterario - culturale di ogni popolo ma non solo.

La ‘storia’ è un prodotto della fantasia e dell’ingegno umano che hanno trasferito in veste letteraria, prima orale poi scritto, sentimenti, emozioni, speranze e aspirazioni comuni a tutta l’umanità. Esprime l’anima universale perché espressione pura e genuina dell’inconscio collettivo che abita in ogni popolo e che si ritrova attraverso gli ‘archetipi’ (configurazioni e rappresentazioni di esperienze che si ripetono di generazione in generazione).

Ma da che mondo è mondo ci è detto che un’cantastorie’ è un bugiardo

È qualcuno che per l’appunto inventa ‘storie’ e altera la realtà. E allora nella crescita da ‘fanciullo’, che crede a tutto, a ‘adulto’ che non creda più a niente, smettiamo di dare retta alle ‘favole’ e ci facciamo beffe di chi ancora, da ‘grande’ (si presume) vorrebbe ‘raccontarcene’.’Senti quante ne dice?’, ‘sul serio vorresti farmi credere che?’. Queste sono locuzioni interrogative degne della ‘maturità adulta’ che ancora fa scrivere ai bambini la ‘letterina a Babbo Natale’.

E sì perché se le bugie ‘hanno le gambe corte' non dovrebbero arrivare nemmeno al 25 dicembre!

Se la lettera a Santa Claus mette a repentaglio la fiducia dei piccoli verso i genitori, perché ‘moralmente diseducativa’, come mai continuiamo ad appellarci a una tradizione così antica che continua a porre in essere la figura di un vecchio signore che decreta la condotta e saggia la bontà di un bambino su un tempo medio stimato in un anno?

‘Raccontare questa storia’ ai bimbi per farli crescere e abituarli a non credere più alle favole, permette invece ai grandi di continuare a vivere la loro ‘infanzia’ in questa menzogna. Come se l’evoluzione dell’età biologica decretasse la morte del ‘fanciullino’ interiore.

Ma la bugia che cosa è? La luce di una candela accesa nel buio

Senza dubbio è un’alterazione, una manipolazione e un oscuramento della verità. Ma nella nostra tradizione la bugia è anche un ‘dolce’ carnevalesco e un particolare ‘candeliere’ così chiamato perché sembra ‘nascondere’ la parte terminale della candela e quindi mentirebbe sulla sua durata. E se la bugia è un mettere ombra su una verità per proteggerla o porla in essere, diventa divertente osservare come su un ‘mendace’ candeliere si andava ad accendere una candela per fare ’luce’ nel buio. Ossimori bugiardi…

Accendere una candela potrebbe essere un voler accendere una ‘verità alternativa’ che ci illumina nel buio di una ‘verità nascosta’?

Sembra che la bugia non sia inclusa nel programma del patrimonio genetico e che se ne acquisisce la capacità nell’uso mediante la crescita. Alla ‘luce’ di questa verità, i più bugiardi sembrerebbero essere gli adulti e non i bambini.

L’intelligenza artificiale è più leale e non mente mai

La stessa intelligenza artificiale è più onesta di noi perché non mente perché non può identificare la realtà (per quanto virtuale essa sia). Il computer ragiona in funzione di quanto ‘vede’ e non in virtù di ciò che è nascosto o può ‘credere’. L’essere umano batte il computer quando oscura/nasconde una parte di verità, sia per proteggerla sia per attuarla, e lascia ‘credere’ qualcosa attraverso una bugia.

Avrah Kadabra. Io creerò come parlo!

Nella costruzione di ‘realtà alternative’ (o bugie), che devono ancora venire, servono molta attenzione nei particolari e una buona dose di motivazione nella ‘falsa’ affermazione che andrò a fare. In sostanza si tratta di dire cose che ancora non ci sono con lo scopo di renderle reali al più presto. Insomma bugie! Un Abra Cadabra che fa ‘accendere’ le cose che ancora non ci sono. Folle? Certamente!

Il linguaggio ha un potere creativo che investe la costruzione della realtà

La formula inoltre, usata nella magia mistica antica, poi ripresa dai prestigiatori, era anche un terapeutico incantesimo di guarigione da febbre o infiammazioni perché in grado di comandare allo ‘spirito’ della malattia!

L’A.K. è un buon esempio di come realizzare la verità, passi attraverso un fitto e fantasioso insieme di pensieri, parole e credenze. Che ci si creda o no, che lo si voglia o no, ‘io creo quello che dico’…allora creo anche le mie bugie! Le parole che proferiamo, i pensieri che elaboriamo, creano incessantemente la realtà in cui siamo immersi e viviamo.

Allora siamo tutti un po’ dei ‘cantastorie’ in cerca di ‘visibilità’

Potremmo tutti essere ‘poeti ambulanti’ che ‘cantano’ in giro le loro storie. Aedi, rapsodi (greci), giullari, menestrelli, bardi (celti) e trovatori post moderni. Una bella  ‘comunità’ di ‘bugiardi’ (quale ambiente di questa post-modernità ne è esente?) che vagabondano per la ‘grande ragnatela’ (web) e mettono in scena, ognuno, le proprie ‘finzioni’ in cerca di ‘visibilità’ sui social media. Allora poco è cambiato rispetto al passato. 

Nella Roma del XVIII secolo la Chiesa aveva assoldato ‘cantastorie’ perché ‘raccontassero’ e divulgassero le vite dei santi e gli episodi biblici (‘verità alternative’?). Non siamo neanche molto lontani dal Medioevo, dove i ‘menestrelli’ erano spesso figure ai margini della società, condannati per i loro liberi costumi e per questo molto popolari (‘social’).

Una ‘corporazione mendace’

I cantastorie nel tempo non scompaiono, ma rimangono una presenza ‘familiare’ ai margini di strade e villaggi e si vanno costituendo in ‘corporazioni’ di varia natura per continuare a tramandare, sotto forma di componimenti poetici e popolari, le bugie di sempre che una certa ‘credulità’ ha bisogno di raccontarsi e farsi raccontare.

Se creo quello che dico, in modo consapevole o no, sono responsabile di tutto quello che dico, compresa una verità ancora non svelata né realizzata. Quando l’essere umano padroneggia la sua mente con parole creatrici e creative di ‘verità alternative’, allora esprime un potenziale e una grandezza enormi. Quando invece è la mente a governare l’uomo, allora siamo di fronte ad una patologia che non si tramuta in psicosi creativa. 

O forse è una bugia?

di Laura Pugliese
blogger bugiarda

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