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Partorire a 40 è una schiavitù. Fallo tu!

Che vita sterile. Si nasce di meno e si vive di più

Vogliamo ‘giorni fertili’ di vita frenetica ma stentiamo a far nascere vita. La corsa per l’esistenza a produrre e consumare è longeva e la scienza ci ha permesso di allungare il brodo primordiale. Viviamo di più ma nel nostro paese il tasso di nascite è parecchio basso. Abbiamo più tempo per esistere, anche se dobbiamo correre. Strano però. Si corre per vivere più a lungo.

Abbiamo raggiunto questa desiderata longevità che ora ci consente di sostare più a lungo nelle diverse fasi della vita. Che fretta c’è a diventare subito donna? Anche se sarebbe meglio comprendere prima cosa vuol dire essere femmina. E che prescia c’è a essere madre poi? C’è tutto il tempo, ma non quello biologico forse…

Un aumento di longevità per una natalità ritardata nel tempo

A quaranta anni sono ancora teen ager, più longeva che mai e sempreverde. Posso rimanere in questa modalità’ tutto il tempo che voglio e mi serve. Ma se volessi essere madre? Certo ho un istinto innato che alla fine salta fuori. Dovrò pur esprimerlo, a prescindere che sia geneticamente equipaggiata per farlo o fuori tempo (biologico), nessun istinto va represso.

Ciao, ho quaranta anni vorrei essere madre. Partoriresti per me?

Mettiamo il caso che viva la mia vita e arrivi, da adolescente, a quaranta anni, abbiamo visto che genetica, medicina e società me l’hanno permesso, e aggiugiamoci pure che questa esistenza mi voglia sterile. Come appagare questo desiderio egoico camuffato da bisogno/istinto d’improvvisa maternità? Se questo piano di esistenza mi ha voluto non poi così fertile, magari mi vorrebbe far mettere a frutto altri aspetti della mia vita, non necessariamente legati alla procreazione, che non ho considerato. Chissà?

Partorire è una vera schiavitù

Per me, giovane aspirante, e impossibilitata, madre in preda al suo ego, una soluzione vecchia c’è da tempo. Quell’antico comandamento ‘genetico’ del 'amatevi e procreate' la sapeva lunga perché contemplava già la riproduzione assistita! Altro che nuove tecnologie della nascita in vitro. L’utero era in affitto già ai tempi della Genesi.

Capostipite dell’impianto della tecnologia è Sara, moglie di Abramo, che con tanto di riconoscimento biologico si serve dell’utero di un'altra, per l’appunto serva, per diventare madre. Che c’è allora da stupirsi? A seguire Rachele moglie del patriarca Giacobbe, usu-fruisce della sua serva perché procrei per lei. La differenza sta nel fatto che al tempo antico biblico la fecondazione non passava dal vitro e l’embrione s’innestava in modi meno scientificamente assistiti. E il senso della vita era dunque rispettato? Bel quesito.

Riconosci tuo figlio?

Se la surroga prima era una serva, ai giorni d’oggi non smette di essere una schiava di qualcosa. In Italia la maternità surrogata è vietata e punita come reato con la reclusione. Quindi vado all’estero, lo faccio nascere, torno a casa (Italia) dichiaro (all’ufficiale di stato civile) che mio figlio è nato ma non dico come né da chi! Rispetto per la vita garantito. Punibile e perseguibile non sarebbe pure la surroga allora?

Fatta questa procedura potrebbe scattare il reato, come che sì, come  no, nel nostro paese siamo rimessi all’orientamento (sessuale?) della giurisprudenza che sentenzierà sulla vita. Se poi non c’è nessun legame genetico con il neonato e scatta il reato, mio figlio è dichiarato dall’autorità adottabile. Tanta fatica per niente e nessuno invece si rende conto dell’assurdità che è messa agli atti!

Adozione o aberrazione?

Se invece il padre almeno geneticamente è presente, la madre dovrà chiedere l’adozione (stepchild adoption) ammessa dalla legge solo nell’ambito del matrimonio. Insomma con un’altra ti fai in-seminare il campo e tu a momenti manco puoi raccogliere! Che ingiustizia. A questo punto chi è la madre snaturata? Quella che paga un’altra perché partorisca al suo posto o l’altra che a pagamento acconsente all’impianto dell’embrione? Per fortuna ci sono i contratti prenatali. Che garanzia. Sulla vita che ti devono ancora dare, è possibile rivendicare diritti biologici, legali e commerciali.

Comunque vada, la famiglia si reintegrerà, ce lo dicono le faccende bibliche, tra possibili madri/padri biologici in cerca di egoistica procreazione o disegno divino. Sarebbe meglio ricordare che sia le situazioni quotidiane che quelle sacre della Genesi partono da una condizione di sterilità che dovrebbe dirla lunga. Davvero beati i poveri di spirito se l’utero si affitta e la prostata no! Forse non è stato compreso appieno qualcosa?

Se diventi madre fregandotene del rispetto della Bios, che è vita biologica che madre non ti ha fatta, sfido a credere cosa puoi aver compreso della Zoè, che è l’essenza della vita stessa. La vita resta un dono a prescindere da chi te la dona. Se in questa vita non puoi essere madre, riprovaci con la prossima.

di Laura Pugliese

 
 
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A Natale puoi...accenderti di tristezza e regalare il disagio!

A Natale ogni scherzo vale?

Se vi ha fatto arrabbiare, litigare con amici e parentame, se vi ha stressati, vi ha impauriti  e imparanoiati. Niente paura! È il solito periodo di Natale. È il momento dell’anno dove vale l’amore banale, la lite con il familiare, la cordialità forzata, l’abbufante convivialità  e la cortese ritualità benaugurante. Scherzi a parte. Quanta angoscia, quanta tristezza e solitudine. In quanti chiedono aiuto per affrontare il tragico infelice Natale personale? Da anni esiste addirittura un telefono ‘amico’ operativo h24 proprio nel fatidico giorno. E sì perché una telefonata allunga la vita, magari quella che schifi, e ti salva per le feste, o dalle feste?

Ma vediamo di comprendere meglio il fenomeno

Nel peggiore dei casi la prassi prevede: la scocciatura dei regali, il malumore in prossimità della vigilia, le preparazioni gastronomiche epocali, i mercanti in fiera e non e gli addobbi imperiali. Ecco che la poco felice coincidenza depressione-feste si radica nella tradizione.

A Natale si accendono le luci della ribalta

Natale è forse il periodo dell’anno in cui si accende la luce su tutto quello che non va, sulla paura di affrontare quello che non siamo riusciti a risolvere o superare, è l’incontro con una realtà che non piace o dispiace. Natale invece è un valido ostacolo da valutare.

L’incentivo della tristezza

La tristezza, non solo del Natale, è un’emozione e in  quanto tale è normale provarla. È saggio concedersi la possibilità di sperimentarla, senza crogiolarsi nella sicurezza del proprio dolore, perché rende consapevoli di quello che manca nella vita di adesso. La tristezza si accende su tutto quello che è assente o di troppo in questo momento, per farmelo vedere bene e ricordarmi di non stagnare nel disagio dal 24 dicembre al 6 gennaio. Il lume della tristezza natalizia deve, quanto meno, spronare a propormi di trovare nuove soluzioni a tutto ciò che ha messo in luce.

Tanti pupazzi addobbati

Va bene riconoscere e ascoltare questa fragilità che si risveglia in questo periodo caloroso che ci vorrebbe benevoli e compassionevoli. Le grandi fughe da questo caldo clima di festoso amore sono vane. Perché il Natale quando arriva, arriva! E viene puntuale a mostrarci come potremmo scioglierci con poco. Non a caso i pupazzi di neve compaiono soprattutto ora a popolare i paesaggi o l’immaginario collettivo. Non sono molto distanti dal ghiaccio affettivo dentro al quale ognuno si è cristallizzato nelle sue emozioni. Per fortuna il Natale scalda e scioglie. A qualcosa servirà pure no?

Ognuno è un po’ un pupazzo  tristemente ‘addobbato’ che conosce  il freddo dei suoi dolori e vive il gelo dei suoi dispiaceri. C’è chi è solitario per scelta e chi per necessità. Chi ha subito un lutto, una separazione, un’emarginazione, una malattia. I motivi di questo raggelamento possono essere diversi. Curioso che a Roma si dica di qualcuno che è caduto, o è vittima di un’incidente, ‘quello s’è addobbato’ ! Allora in questa valle di lacrime gelate, non siamo poi così soli , seppur indistinti fiocchi di neve. E se dovessimo proprio permetterci di scivolare clamorosamente sul ghiaggio liquefatto delle nostre emozioni? Allora l’acqua, da sempre simbolo di vita, tornerebbe a scorrere eccome verso rivoli risolutivi.

Tutti più buoni?

Sembra poi che proprio il giorno di Natale aumentino i tentativi, tutti non riusciti, di suicidio. Buffo no? Si parla di Natività e se è vero che si muore un po’ per poter vivere, almeno lasciamo morire in pace chi vuole rinascere. Forse essere più buoni consiste proprio in questo. Avere la compiacenza di non appesantire il mio prossimo nella notte dove tutto diventa più chiaro. Allora non torturarti, né torturare con le usanze coercitive che ti vogliono far condividere il desco, la casa, la tombola. La solitudine diventa un’ottimo rimedio per disintossicarsi dalle abbuffate emotive che stai cercando di smaltire magari dal natale precedente. Se sei già sazio di certo non ne vorrai altro quest’anno. Perché non dirselo? Non è questione di discutere con tutti o isolarsi. Si tratta di mettere le cose in chiaro.

Queste sono le feste dell’affettività per rinsaldare/riscaldare i legami. Di certo l’iconografia classica della migliore tradizionale arte presepiale parla chiaro e di nuovo fa luce. Nessuna statuetta solitaria, divorziata, cancerosa, omossessuale. Che girone dantesco sarebbe un presepio simile? Un’aberrazione. Ma la realtà fuori dalla grotta è ben altra. Nulla contro la ‘sacra famiglia

Un pensiero ai ‘disagiati’ corre veloce e per fortuna, come ogni anno da trenta anni a Roma, si approntano pranzi per anziani, nuovi poveri, italiani e stranieri, tutti insieme i ‘nuovi europei’. E sì loro sono i veri disagiati. Oppure disagiato è chi è vittima del suo stesso gelo interiore che condivide una tavola imbandita, mai satollo del suo stare male e troppo impegnato a soffrire per stare bene insieme ai parenti o da solo?

A Natale puoi…

Vediamola così: a Natale puoi fare i conti con il tuo malessere  e, sei altruista, con quello degli altri (e parlo di malessere, non di ‘malattia’ che esige ancora più rispetto). Ricordati magari che per quanto tutto questo tran tran non ti piaccia, le stagioni passano, i ghiacci si sciolgono e non ti è dato sapere quanti altri ‘natali’ vedrai. Che siano in solitudine o insieme a chi c’era, chi non c’è già più, chi resta e chi arriva. Il Natale è così. Quando arriva, arriva!

di Laura Pugliese

 
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Arrabbiati e contenti. La rabbia come antidoto

Ognuno di noi è soggetto a un umore e un temperamento

Ogni temperamento ha dei suoi umori e uno squilibrio all’interno di questi umori si trasforma in malattia.  L’antica teoria umorale (Ippocrate) ci dice che il corpo umano è costituito da sangue, flegma, bile gialla e nera. La salute è data dalla loro giusta proporzione e armonica mescolanza. Il collerico per esempio è un soggetto focoso (brucia al fuoco della sua ira), permaloso, furbo, generoso e superbo. Vive un travaso di bile (quella gialla che ha sede nel fegato) per questo si rode.

Un virus

La rabbia è anche una malattia virale dell’uomo e dell’animale (esseri a sangue caldo per intenderci) che causa l’infiammazione del cervello (si va davvero  a fuoco perché ci surriscaldiamo), i cui sintomi possono essere febbre e prurito (ecco perché quando si è arrabbiati ‘prudono le mani’). Di solito l’epilogo della malattia è il decesso! L’evoluzione è data dal tempo che il virus impiega a raggiungere il s.n.c. (sistema nervoso centrale). Per fortuna esiste il vaccino anti-rabbico che ci immunizza. Tuttavia la rabbia può essere endemica nella vita emotiva e psichica di ognuno.

Un meccanismo naturale

La rabbia è anche un’emozione primitiva e funzionale che implica modificazioni fisiologiche costanti. È anche una delle emozioni più precoci che cultura e società presto inibiscono. Molte teorie psicologiche la considerano un meccanismo naturale di reazione, sia fisica sia psicologica, alla frustrazione o costrizione.

Una forte propensione all’agire per rimuovere l’oggetto frustrante

Ci si arrabbia quando qualcosa/qualcuno ostacola (intenzionalmente) l’espressione di un nostro bisogno o la realizzazione di un desiderio. Da qui scaturisce la forte intenzione/propensione all’attacco verso il soggetto/oggetto, frustrante, per rimuovere l’ostacolo al nostro soddisfacimento.

Le regole sociali, che agiscono da deterrente, nel tentativo di contenere la rabbia, in realtà mascherano i sentimenti di fuga e paura che evitano l’aggressione dell’altro. Siccome è inibita la tendenza all’azione aggressiva, l’energia originata dalla causa dell’arrabbiatura è depistata a favore del contegno e dell’autocontrollo.

Dove va a finire questa rabbia?

Se non le è data la giusta voce, può verificarsi uno spostamento da un soggetto all’altro, oppure sfoga nel corpo di chi la prova. L’arrabbiato/a morde rabbia, digrigna i denti fino a spaccarli talvolta, ha la fronte corrugata, è accigliato/a (aggrotta le sopracciglia) e tutta la muscolatura della sua schiena s’irrigidisce. Ogni fibra è tesa e pronta a sferrare il colpo d’attacco a pugni stretti. Tutto è pronto a progredire nell’aggredire (che è un ‘andare verso’) ciò o chi ci sta ostacolando. Sono saltate tutte le resistenze e le tensioni si liberano.

Che male c’è a liberare il nostro campo d’azione?

In fondo stanno impendendo la realizzazione del mio sé. Motivare la mia rabbia sembra essere un’azione efficace a produrre un cambiamento prima che la pulsione all’aggressione si traduca in paura, fuga o attacco. Le botte d’ira a scoppio ritardato invece sono quelle che non sono espresse correttamente a tempo, modo e luogo e per ciò si ripropongono, in differita, nei momenti meno opportuni. La paura dello scontro è sempre la causa della rabbia procrastinata.

Un veleno che acceca

Mentre chi la esprime distrugge, chi la reprime si autodistrugge e si ammala di rancore. Saper gestire lo scontro nell’immediato, sebbene sia più funzionale allo sfogo, non è di certo facile, ma il rimandare avvelena (ecco perche si usa dire ‘sto avvelenato’ o ‘ho il dente avvelenato’). L’ira poi acceca, come si fa allora a osservarla, come molti dispensatori di precetti filosofici - psicologici suggeriscono di fare? Come si fa poi ad arrendersi per non identificarsi con un’emozione così tremenda (‘non sei la tua rabbia’)?

Chi è arrabbiato è tremendamente vivo!

Insomma dovremmo essere tutti pacifisti, monaci e monache zen portatrici di una visione irenica in un mondo perennemente incazzato? Ma se dai tempi dell’Achille a quelli dell’Orlando si era iracondi e furiosi?! Ma smettiamola! L’arrabbiato/a ha coraggio, porta con sé la rivoluzione. Tremendo è chi si è arreso alla sua vigliaccheria.

Tutti i NO della storia sono stati gridati da movimenti arrabbiati

Le più grandi rivoluzioni sono per caso nate nel quieto e silente spirito, pacifico, d’osservazione? Tutte le manifestazioni che hanno gridato e reclamato per i loro diritti si sono svolte per caso in punta di piedi e a bassa voce? No! Hanno marciato a passi decisi contro l’obiettivo, hanno urlato una verità in cerca di affermazione. Eccola la voce arrabbiata dei ‘No’ alla violenza sulle donne, sui bambini, sugli animali, ecc. Un ‘Noconsapevole a questo e a quello. Questa storia ‘arrabbiata’, insegna come si guadagna rispetto.

Inutile parlare poi delle miriadi di corsi di self-help per la gestione e il controllo delle emozioni (beata spontaneità addio) o dei seminari new age per liberare creativamente la rabbia. Ma davvero pensiamo di dover estinguere, definitivamente, un’emozione primitiva? La rabbia consapevole è un’arma quando ti porta avanti e non ti fa vivere per inerzia come un codardo.

La vera rabbia da estirpare, semmai, è quella endemica che travasa nella violenza incontrollata, già a suo tempo, strumento di distruzione di massa.

di  Laura Pugliese 

 
 
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