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Chi dorme poco, non è sveglio!

Dormi poco? Fatti saggio

Ma che dormi in piedi? Sveglia! Tra i vari effetti indesiderati e collaterali, dati da una possibile 'notte in bianco’, abbiamo: aumento della disattenzione, ipersensibilità, affaticamento cardiaco, obesità, diminuzione del tessuto celebrale, malumore e non continuo. Con questo riposante quadro vi auguro un buongiorno! Ma tu guarda un po’, dormire poco che effetto fa! E dire che in questo mondo non fanno altro che volerti 'sveglio' per qualche motivo e tu, che sempre desto rimani, ecco come ti ritrovi, nella più (o)scura delle ipotesi, a un breve passo dalla tua morte. Basterebbe una sola notte per morire insomma secondo studi psicogeni. E dire che c’era chi ci illuminava sui miracolosi bagliori di una propria 'notte scura dell'anima'. 

Di cosa è morto? Morì di … sonno

Alto rischio di mortalità! L’equazione è presto fatta: dormi poco - muori, dormi tanto-vivi. Aggiungiamoci pure l'incognita bellezza e intelligenza nel calcolo del famigerato 'sonno ristoratore' e sommiamolo all'eterno riposo. Sembrerebbe che la morte ti faccia bella e intelligente (vi ricordate l'esilarante film?) ma non ancora ricca, anche se da morta che te ne fai di quattro spicci? Un bell’epitaffio esplicativo delle fauste cause del decesso potrebbe recitare: 'mori di sonno la buon'anima, civetta’.

Sveglia e chiudi gli occhi!

Il mondo ti dice 'sveglia! Apri gli occhi!' ma per chi non li chiude mai questo è di certo un monito parecchio bizzarro. Inoltre tenere gli occhi bene aperti significa prestare tanta attenzione a quello che succede per guardarsi attorno. Quando diciamo di una persona che è sveglia, la reputiamo intelligente e consapevole, quindi non una che dorme in piedi. Tuttavia non è certo se essere sempre svegli, significhi essere altrettanto intelligenti e vigili. Da qualche parte, notoriamente, è già stato detto che 'chi guarda l’esterno (occhi aperti), sogna. Chi guarda all’interno (occhi chiusi) si sveglia’, quindi chi non dorme sogna e chi lo fa, invece, ci vede?

Avere sonno per non dormire

Tenere gli occhi spalancati per ore nel buio, potrebbe implicare un’attenzione dis-attentiva. Magari chi non riesce mai a chiudere questi benedetti occhi sta cercando, disperatamente, di guardare qualcosa che non vede, e più forte è il tentativo, minore sarà la riuscita. Più ti sforzi e ci provi e meno ci riesci. Inoltre vedere non è guardare. Il vedere implica la percezione della vista che coglie mediante lo sguardo, quindi una facoltà sensoriale che può tradursi anche in intenzione consapevole che spinge oltre l'osservazione e rende coscienti e responsabili (visto?). Il guardare è puramente analitico e valutativo, non contempla la comprensione di ciò che si osserva. Tuttavia chi chiude gli occhi, inizia a guardare dentro per svegliarsi e, poco a poco, vedere la realtà.

Mamma che sonno!

 

Avere sonno non comporta necessariamente 'dormire' se non alla presenza di gente che di sonno te ne mette, allora è lecito addormentarsi di noia. Sembra che la qualità del sonno sia data dalla percezione di avere dormito bene o male nella nottata. Premesso quanto detto, che stare sempre svegli è forse un voler cercare di vedere cose che ci sfuggono o che rifiutiamo, è giusto ricordare che il cervello non dorme mai e anche in notturna esplica la sua inde-fessa funzione elaborativa. E' vero che una sana dormita risana, nessuno lo nega, va solo chiarita questa cosa dell'essere desto in relazione alle facoltà intellettive (e intellegibili, si auspica sempre) di ognuno. Di notte l'inconscio può palesarsi e parlare chiaro, senza filtri o scappatoie. A occhi chiusi accade la manifestazione del tuo mondo interiore, tutto quello che non riesci a vedere per forza di giorno, te lo svela la notte. E accidenti se questo non è un fenomeno intelligentissimo per chi sa vedere! Ma sia chiaro, la presa di coscienza data dalla visione ce l'abbiamo solo nella giornata.

Ognuno ‘ha da passa’ la nottata’

Che tocca fare a questo punto se stare svegli non è sinonimo d’intelligenza mentre dormire in piedi, sarebbe segno d’inconscia genialità? Secondo me bisogna essere un po’ civette, e non nel senso dispregiativo del termine (civettuola) come riferito al solo genere femminile. La civetta è un simbolo parecchio contraddittorio che possiede anche connotazioni positive. Era sacra alla Dea Atena (Dea greca della Sapienza) perché portatrice di saggezza e conoscenza ancestrali. Per gli Indios dell'America Latina rappresentava il cambiamento e la capacità di trasformare gli eventi avversi in opportunità. E forse sta in questo il senso dell’essere desto, ossia vedere nel buio quello che è celato alla luce del giorno per mutare questa visione in conoscenza da applicare nelle ore diurne. 

La saggezza è civetta

Non serve contare pecore, tocca cambiare animale. Se a dormire non sei capace, presto fatto, fai il ra-pace che non porta male, prendi esempio e fatti saggio/a. Chiudi gli occhi e medita. All'inizio non ti sarà affatto facile calmare la mente perché lo scenario che ti proporrà sarà sovraffollato. Ma tu vai lo stesso avanti, addentrati nel (tuo) buio e vola a caccia degli ingredienti giusti per le tue pozioni di felicità. Presto scoprirai che quello che cercavi è sempre stato davanti ai tuoi occhi e che bastava chiuderli. Troverai ciò di cui hai bisogno, compreso il riposo fisiologico di un bel sonno. Questo volo ti aiuterà a mettere ordine dove 'vedrai' qualcosa fuori posto, ma lo farai poi, di giorno. Sappi che molti bei sogni potrebbero arrivarti se chiudi gli occhi e che, da sempre, chi ti vuole sorprendere t’invita  a farlo. Mi raccomando, prima di coricarti, evita i dispositivi elettronici, i social e le sostanze psicoattive, tanto dovrai 'vedertela' solo e unicamente con te. Che i tuoi sogni d'oro possano avverarsi presto, anzi, oggi stesso!

di Laura Pugliese

 
 
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Apprezzare la vita non costa nulla?

Amore, amicizia e salute, per fortuna non si comprano, eppure si apprezzano!

Tutto ha un prezzo e invece diciamo ‘il mio amore non si compra’, ‘la mia amicizia non è in vendita’. E ancora ‘non si acquista la salute’ e ‘non posso (s)vendere la mia libertà’. Che apprezzabile equivoco è questo! Ma dai, amore, amicizia, salute e libertà non sono in vendita. Se le cose più importanti e belle della vita non hanno prezzo, allora su cosa ne stimi-amo il valore, la bontà e il pregio?

Invece un apprezzamento monetario dell’esistenza lo facciamo tutti giorni quando valutiamo, de-prezziamo e dis-prezziamo parenti, conoscenti o colleghi in base a qualità  e pregi che incidono sulle personali quotazioni e stime affettive di mercato che ne facciamo. Non c’è persona, cosa o situazione che non sia soggetta all’ago della bilancia, che abbia un suo peso (d’oro) e, in fine, prezzo.

Il prezzo che avvalora

L’apprezzamento è un incremento di valore, quindi assegnare un prezzo vuol dire attribuire un pregio. Siamo ancora sicuri che certe cose non abbiano prezzo? E di prezzo si sale o si scende. Una monetaapprezzata’ è quella si avvalora di più rispetto alle altre.

L’esistenza è monetizzata. Tu conti!

Allora tutto conta eccome! Il partner, l’amico, il genitore, il figlio, ognuno ha un suo ‘valore’ di scambio con noi e una sua bontà e ‘stima’ reciproca. Visto? Per  davvero gli affetti sono ‘preziosi’. Quando spendiamo, compriamo e contrattiamo, stiamo veramente apprezzando?

Testa o croce? Stai attento al tuo talento

Nasciamo tutti con una moneta d’oro, un talento. Di per sé il talento era un’unità di misura di peso dell’antica Grecia e un conio che circolava anche in Palestina. Ricordate la nota Parabola (di mercato) dei talenti evangelici? Qui la prospettiva offerta da Gesù (mutuo di nuovo un esempio da Lui, non me ne voglia!) non è né economica, né finanziaria. Raffigura invece, nei talenti dati ai servi, i doni che Dio ha elargito. Sempre Dio poi (o chi per Lui), ripone in loro la fiducia che sappiano far fruttare queste potenzialità nascoste in latenza. Il talento è allora una sorta di ricchezza interiore, un tesoro che ognuno custodisce. E come e quanto ci frutta?
 
Investimenti affettivi riconosciuti

Apprezzare significa far emergere questo talento, accrescerlo, chi è ‘munifico’, di buon grado, del giusto apprezzamento nei tuoi confronti, investe in te e moltiplica il valore della tua moneta! Chi ti apprezza ti riconosce un’abilità eccezionale che ti connota in maniera speciale e unica. Riconoscere vuol dire comprendere la vera natura delle cose. Chi ti riconosce rivede in te un’energia creativa fondamentale (’daimon’), che altro non è, se non quella capacità innata che hai già dentro e che guiderà il tuo destino.

Apprezzare non costa nulla

 

 Esprimere apprezzamento ha inoltre degli effetti potenti. Far sentire apprezzato qualcuno o esserlo predispone un terreno fertile che favorisce i comportamenti pro-sociali, aumenta le difese immunitarie, rafforza i feedback positivi. Essere gratificati è sicuramente più piacevole che essere criticati! Un sincero apprezzamento che sia sentito, ascoltato, visto o toccato genera gratitudine. Una parola gentile, detta o scritta, un gesto affettuoso, una carezza o un abbraccio, oppure una pacca e una stretta di mano, alimentano sia riconoscimento reciproco, sia riconoscenza.

Riconosciuto  e riconoscente

 Quando la tua vera natura viene fuori e cresce rigogliosa, non puoi che essere grato per questo. Chi ti apprezza ti riconosce per ciò che veramente sei e puoi diventare. Chi ti riconosce ti gratifica. Questa gratificazione è del tutto gratuita. Sei grato perché ti rendi conto che hai scambiato con l’altro un valore aggiunto e una benevolenza che non costano nulla ma valgono tanto. Gratuità, poi, è una derivazione di gratùs che ci riporta alla gratitudine. Visto? In un certo senso vivere costa. Eccome se costa!

di Laura Pugliese

 
 
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Essere o divenire? Questo è il dilemma

Vi è mai capitato di desiderare di essere un’altra persona?

Pensare che, in fondo, non sia giusto poter vivere una sola volta? Nel chiuso di un ufficio, spesso ci immaginiamo di essere avventurieri, persi in lande sconosciute, solcando i sette mari.  Ma durante un viaggio, magari di fronte a un tramonto mozzafiato o una notte stellata, ci viene nostalgia di casa. Perché?

L’uomo, diviso tra essere e divenire

Ultimamente mi è capitato di rileggere le parole di Soren Kierkegaard riguardo la vertigine della possibilità, nozione contenuta nel saggio Il concetto di angoscia. Come spesso succede con le menti illuminatemi, mi sono stupita della sua lungimiranza e comprensione dell’animo umano.

In Kierkegaard la nozione di possibilità è centrale, anzi, prerogativa stessa dell’esistenza.  Le innumerevoli scelte della vita, le persone che, in potenza, potremmo essere, spesso ci lasciano quel lieve senso di incompiuto, quella sorta di angoscia che tutti cercano di riempire in qualche modo. Ma, se Kierkegaard vedeva la possibilità come qualcosa di angoscioso, generalmente noi tendiamo a dare al termine un’accezione positiva.Tuti proviamo questa sensazione e ognuno cerca di trovare un equilibrio tra essere e divenire, una maniera di colmare quelle esistenze che, in potenza, ci vengono negate. Chi accettando di continuo nuove sfide, chi leggendo romanzi o guardando film, chi programmando continuamente viaggi.

La consapevolezza della possibilità crea la voglia di rischiare

A seconda del periodo della vita in cui ci troviamo la bilancia può pendere maggiormente verso l’essere oppure verso il divenire. Ci sono momenti della vita in cui prevale il desiderio di stabilità , il piacere di vivere una quotidianità “pre-confezionata”, con determinate abitudini, con amici e conoscenze di sempre, con regole e orari fissi. Così come possiamo svegliarci una mattina  e sentire che la vita che facciamo ci sta stretta e che vorremmo rompere, come fossero catene, tutti i nostri schemi quotidiani.  L’importante è dare ascolto a quella vocina che parla al nostro animo, la voglia di trasformazione che bussa al nostro inconscio. È quello il momento di cogliere l’occasione, spezzare le catene e aprire il nostro umano al tumulto disordinato quanto affascinante dell’esistenza e delle sue molteplici forme.

Perchè è proprio quel nasconderci a noi stessi che diventa causa di infelicità.

Possibilità fa rima con realismo

Tuttavia la cosa più difficile da affrontare è proprio la resistenza al cambiamento, quella paura di non riuscire ad evolversi ma rimanere confinati nei propri desideri inespressi. In Finlandia esiste una sola parola per questo: sisu. Un termine che non ha traduzione letterale ma si potrebbe definire come la capacità di portare a termine un compito con successo.

Il cambiamento rimarrà nella sfera del sogno fin quando non ci si pone obiettivi chiari e realistici. Cominciamo  a immaginare cosa vorremmo cambiare e scriviamo una gerarchia di piccoli passi che ci permetteranno di raggiungere l’obiettivo finale, dal più facile al più difficile.  Ogni successo alimenta la fiducia nelle proprie capacità…e avvicina essere e divenire.

 

di Irene Caltabiano

Blogger riflessiva

 
 
 
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