mentalità vincente

Allena il pensiero strategico ☝

Non sono mai soddisfatto di me stesso… Perché?

Non va bene, potresti fare di più…

PerfezionamentoSei sempre stato il peggior nemico di te stesso.

A scuola passavi pomeriggi interi sui libri e ti sembrava di non sapere niente, poi invece alle interrogazioni andavi benissimo.

All’università, anche se prendevi 30, pensavi sempre che avresti potuto fare di più.

Nel lavoro e nella vita quotidiana sei sempre pronto a criticare te stesso; nonostante i tuoi successi c’è una vocina nella tua testa che sussurra “non va bene, questa cosa potevi farla meglio”.

Se ti riconosci in questi comportamenti, probabilmente sei anche tu un perfezionista.

Secondo studi scientifici, c’è un perfezionismo sano, che porta al desiderio di migliorarsi continuamente per eccellere, e uno malato, che porta a sentirsi sempre insoddisfatti e ipercritici nei confronti di se stessi.

Quando il perfezionismo diventa patologico?

  • Perfezionamento_PatologicoQuando gli standard a cui tendi sono troppo alti e irrealistici, e il fatto di non riuscire a raggiungerli ti fa sentire un fallito;
  • Quando ti punisci in modo eccessivo se compi un errore, ci rimugini sopra e non riesci a perdonartelo. Temi che per uno sbaglio tu possa perdere la stima degli altri, perché la cosa che ti fa più paura sono le critiche;
  • Quando arrivi a dubitare di te stesso e delle tue capacità, tendendo a fare solo le cose che già conosci per non mostrarti vulnerabile.

La tua eccessiva preoccupazione di non commettere errori e la tua dipendenza dall’approvazione degli altri possono portarti ad evitare tutte le nuove esperienze, perché la paura di fallire inibisce il tuo bisogno di vivere liberamente.

Così ti chiudi in te stesso e nel tuo mondo, frequentando sempre gli stessi amici perché se conoscessi persone nuove avresti l’ansia di doverle conquistare mostrandoti intelligente e infallibile. E se qualcuno ti fa una battuta ti offendi a morte, perché ti senti ferito nell’orgoglio e scambi lo scherzo per una critica, che scalfisce la tua immagine perfetta rendendoti vulnerabile.

 

Cosa fare?

AutostimaIl perfezionismo spesso nasce dall’educazione ricevuta in famiglia e a scuola, dall’idea che per avere l’affetto degli altri bisogna prima soddisfare le loro aspettative, e dalla forte competizione che si è scatenata nella società di oggi.

Il perfezionismo può dipendere da una bassa autostima, per cui si cerca di conquistare l’approvazione degli altri eccellendo in tutto ciò che si fa, o, al contrario, da un’alta opinione di sé, che porta a voler tenere sempre tutto sotto controllo per non abbassare la valutazione eccellente che si ha di se stessi.

In entrambi i casi, il perfezionista si sottopone a una pressione continua che alla lunga può avere gravi ripercussioni sulla psiche e sul corpo, compromettendo la sua serenità e la sua salute.

Se sei caduto anche tu in questa trappola, impara a essere più indulgente con te stesso e a riconciliarti con i tuoi limiti, perché essere vulnerabile non ti rende meno valido. Meglio una sana imperfezione che una malata ossessione per qualcosa di irraggiungibile, non credi?

di Rosa Cambara

 

 

 
 

 

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Un’altra ragazza picchiata a scuola. Genitori e insegnanti, svegliatevi!

Picchiata da una bulla tra le risate dei compagni

“Ti ammazzo, ti ammazzo nel vero senso della parola… e non sto scherzando!”

“Non ho il coraggio di toccarti? Non ho il coraggio?”

Così una ragazzina di Muravera, in provincia di Cagliari, ha aggredito una sua coetanea con schiaffi e spintoni nel cortile della scuola. Intorno a loro, un gruppetto di studenti ha assistito all’aggressione senza fare nulla. Anzi, una cosa qualcuno l’ha fatta: ha filmato tutto e ha pubblicato il video su Facebook, raggiungendo in poche ore quasi 4 milioni di visualizzazioni e oltre 76mila condivisioni.

Il video è stato rimosso per volere delle forze dell’ordine, ma quelle immagini le abbiamo viste tutti, in rete o al telegiornale. È agghiacciante la violenza verbale e fisica con cui ragazzi così giovani si scagliano contro i coetanei più deboli, per non parlare dell’indifferenza e della cattiveria degli studenti che si sono divertiti ad assistere all’aggressione, umiliando ulteriormente la ragazzina con fischi, insulti e risate. E con quel video condiviso su Facebook, che ha fatto crescere la vergogna e il disagio della vittima fino a farle pensare di non uscire più di casa.

Ma poi, per fortuna, ha deciso di reagire. “Ritornerò a scuola, a testa alta – ha fatto sapere alla stampa – Sto raccontando tutto per far capire che le vittime di bullismo stanno molto male: chiunque patisca questa sofferenza parli, dica tutto ai genitori e alle forze dell'ordine: c'è chi si uccide, e invece bisogna denunciare perché c'è chi ci aiuta”.

Fanno più male gli schiaffi o l’indifferenza?

“’A soggetta!” le hanno urlato i suoi compagni tra i fischi.

Ricordo che, quando ero piccola, un mio compagno di classe chiamò “soggetto” un altro bambino e la maestra decise di punirlo obbligandolo a riempire intere pagine di quaderno con quel termine e a ricercarne il significato sull’enciclopedia. Il giorno dopo, il ragazzino fu costretto a scrivere più volte la parola “soggetto” alla lavagna e a leggere davanti a tutti le definizioni che aveva trovato. Parlava davanti a noi cercando di trattenere le risate, ma dietro il suo atteggiamento strafottente lasciava trapelare il suo imbarazzo. Chissà se ha mai più chiamato “soggetto” qualcuno.

La ragazzina di Muravera dice di aver perdonato la sua bulla, che le ha chiesto scusa. Ma perdonerà mai la cattiveria di chi l’ha derisa e umiliata?

Non so cosa sia passato per la mente di quei ragazzi. Forse pensavano di suscitare risate per la loro bravata e si aspettavano una valanga di like a discapito della povera malcapitata.

Non so se quei ragazzi sono abituati alla violenza anche perché la vivono nella propria casa, se la vedono tutti i giorni in rete e sui mass media pensando che sia figa, o se sono solo troppo viziati per mettersi nei panni degli altri e rendersi conto di quanta sofferenza possano causare certi gesti.

Però una cosa è certa: se non insegniamo per primi ai nostri figli - o studenti - l’importanza del rispetto, la miseria culturale dei nostri anni diventerà sempre più profonda. 

di Rosa Cambara

 

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La mia vita è una slot machine. Storia di un ludopatico

Antonio, che per colpa del gioco ha perso tutto

Antonio era stanco delle difficoltà della sua vita, dei continui fallimenti che lo portavano a sentirsi frustrato.

Aveva bisogno di una svolta, ma non voleva più faticare per ottenere ciò che credeva necessario. Basta libri, duro lavoro e sacrifici: aveva deciso di affidarsi alla sorte per trovare una scorciatoia.

Ogni volta che entrava nel bar vicino casa guardava le slot machine di sottecchi, pensando “quasi quasi ci provo anch’io”. Arrivò il giorno in cui lo fece. Infilò la prima monetina, inspirò forte per l’emozione e tirò la leva per la prima volta.  

“E se bastasse questo per trovare la felicità?” pensava, mentre il suo cuore batteva all’impazzata nella trepida attesa del risultato. Ma il primo giro si concluse con un nulla di fatto. Allora riprovò, poi riprovò ancora, e i suoi occhi cambiavano espressione mentre fissavano le macchinette. Erano ipnotizzati, sgranati, svuotati. Come presto lo sarebbero state le sue tasche.

Antonio si fermò solo quando si rese conto di aver perso tutto, e allora tornò a casa avvilito, deciso a prendere altri soldi e a tornare presto a giocare. Perché solo il gioco lo faceva sentire vivo, attivo, in grado di riscattarsi di tutto ciò che nella vita non era riuscito a costruire. Perché il prossimo giro sarebbe stato quello giusto, avrebbe vinto un sacco di soldi e i suoi problemi sarebbero spariti.

Ma non fu così. Antonio continuò a perdere giorno dopo giorno, e più perdeva, più aveva bisogno di giocare. Arrivò a sperperare l’intero stipendio di un mese in poche ore, e una volta uscito dal bar si rese conto di non avere i soldi per fare la spesa. Iniziò a indebitarsi, a vendere gli ori di famiglia, a chiedere prestiti agli amici – che poi non avrebbe restituito.

Sua moglie aveva capito tutto e i figli non lo guardavano più in faccia. Antonio si vergognava, negava tutto, sminuiva il problema dicendo che si trattava di un passatempo occasionale. Perché lui era convinto di essere più furbo degli altri, di aver studiato ogni stratagemma per vincere. E se finora non era successo, era stata solo colpa della sfortuna.

Ma i creditori non gli davano tregua e pian piano perse tutto: l’auto, la casa, la dignità. La famiglia.

La ludopatia si può fermare

La  ludopatia è un disturbo del comportamento molto diffuso in Italia. È una forma di dipendenza che porta l’individuo a perdere il controllo delle proprie azioni. Sai che devi smettere di giocare, ma non riesci a farlo, perché l’adrenalina che il tuo cervello produce mentre giochi ti fa sentire vivo e ti permette di evadere dai problemi della vita quotidiana. Problemi spesso generati dal gioco stesso.

Slot machine, videopoker, lotterie, gratta e vinci e ogni altro tipo di gioco d’azzardo diventano una vera e propria droga, da cui è possibile salvarsi solo chiedendo aiuto. Il ludopatico mente alla famiglia e agli amici perché ha paura di essere scoperto, ma è fondamentale intervenire quando si è ancora in tempo.

Dalla ludopatia non c’è una guarigione vera e propria. Come racconta chi ha sofferto di questa dipendenza, puoi riuscire a smettere di giocare, ma rimarrà sempre dentro di te una piccola speranza di poter dare una svolta alla tua vita grazie al gioco. Il giocatore non si rende conto del valore di ciò che ha, fin quando lo perde. 

Schiavi delle slot, le vittime del gioco d'azzardo - guarda il video

di Rosa Cambara

 

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