Lavorare 2.0

Luigi Partipilo: dopo Milano e Shangai ho capito che il mio futuro era la Puglia

In un momento in cui tutti i cervelli fuggono dall’Italia, la (buona) notizia è, invece, quando le eccellenze decidono di restare qui, o di tornarci. Per lasciare una situazione lavorativa – e anche finanziaria – particolarmente soddisfacente ci vuole coraggio. E ne serve una dose supplementare, se il luogo di destinazione è un piccolo paesino del Sud. 
 
Questo, in breve, il percorso di Luigi Partipilo, giovane designer di origine pugliese che, dopo il trasferimento a Milano e i successi lavorativi di Shangai, grazie a un’opportunità offerta da Google, ha realizzato il sogno conservato nel cassetto più “segreto”. 
«Ho trovato la mia scrivania pronta presso Unioncamere di Lecce. Ora cercherò di scrivere e realizzare il mio piano strategico per le imprese: il punto sarà portare le aziende online con le persone adatte a farlo, secondo lo spirito che ha animato il contest dal primo momento». Così Partipilo aveva commentato al momento dell’assunzione dell’incarico.
 
«Oltre la crisi, siamo in un periodo di profondo fermento creativo: il Salento è destinato a svoltare, è un momento perfetto per investirci su. Dopo anni all’estero ho capito che le mie idee arricchivano persone e aziende che in fondo mi erano estranee, mentre quando venivo per le vacanze capivo che forse potevo dare un apporto alla mia terra: continuo a collaborare con l’estero, ma resto qui e credo nel Salento».
Al netto di tutto, la qualità della vita è la cosa più importante. Perché più del lavoro e delle condizioni materiali, sono le relazioni umane a fare la differenza. 

 

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Fortunate quelle braccia che tornano alla terra…

«Quale agricoltore? Chiamatemi contadino!». Ha le idee chiare Rocco. 37 anni, un legame fortissimo con il luogo in cui è nato, il Salento, e cinque anni fa una decisione importante, radicale, dopo la quale niente sarebbe più stato come prima. Così, insieme a un amico decide di darsi – letteralmente – alla terra, e diventa una Partita IVA.
 
L’agricoltura rappresenta davvero un’opportunità, per chi è disoccupato. È sufficiente un piccolo appezzamento per coltivare zucchine, patate, frutta, e iniziare con l’autoproduzione. Poco a poco, fare impresa diventa, quasi, inevitabile.
 
La storia di Rocco non è un caso isolato, anzi. Un’indagine ISTAT del settembre 2015 ha infatti rilevato la diminuzione delle aziende agricole vecchio stampo a favore delle cosiddette multifunzione, che operano in settori strettamente correlati, tra cui quello delle energie rinnovabili (+50% circa). Il biologico resta, comunque, uno dei comparti più interessanti (+5%).

 
 
 
 
 
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A cosa serve una laurea con 110 e lode se sei già troppo vecchio per il mercato del lavoro?

Cornuti e mazziati 

LaureaI laureati di oggi non hanno colpa di tutto questo!

Cosa cercano le aziende al momento dell’assunzione? Certamente un lavoratore con un po’ di esperienza (magari raggiunta con uno stage), che conosca le lingue e che sia giovane,molto giovane. Poco importa il voto di laurea! Si trovano, invece, dinanzi una platea di neolaureati col massimo dei voti ma che hanno già minimo 28 anni e senza ne arte ne parte.

Ciò che accade in Italia 

Ha evidenziato il ministro del lavoro Poletti: 

Meglio laurearsi prima con un voto più basso che dopo con 110 e lode. Prendere 110 e lode a 28 anni non serve a un fico, è meglio prendere 97 a 21. 

Così  un giovane dimostra che in tre anni ha bruciato tutto e voleva arrivare!

E’ palese, infatti, che i nostri laureati entrano nel mercato del lavoro con un ritardo di circa sei anni rispetto ai laureati di altre nazioni. Se così stanno le cose, dice Poletti, diventa difficilissimo poter competere con una persona che ha sei anni in meno. 

Sono pochissimi coloro che riescono a laurearsi in 5 anni  perché lo studente italiano medio, secondo Poletti, tende a perdere tempo per ottenere voti più alti agli esami, un tempo troppo prezioso per essere buttato così. 

I fatti dimostrano che un diplomato, entrando nel mondo del lavoro prima, ha più possibilità di essere assunto rispetto ad un laureato.

 

Tutto questo è vero,ma siamo sicuri che la colpa è dei ragazzi?  

Cornuti e mazziati! Nel senso che i giovani, già classificati ieri come choosy, poi sfigati ed anche bamboccioni,  oggi sono pure  ritardatari.

Non è forse colpa di un governo non meritocratico che non investe in ricerca e innovazione per sostenere la nostra industria e la nostra scuola? 

In realtà è troppo facile dare la colpa ai ragazzi che "perdono tempo all'università.” 

La colpa è dei politici che hanno riempito le facoltà di materie inutili, cattedre buone per i figli dei ministri. Perché sono i cattivi professori, che non sanno tenere le lezioni in inglese e che la politica tutela, che fanno perdere tempo. 

Troppo difficile, però, cambiare veramente in meglio l'università, dove i politici "trombati" alle elezioni andranno a prendersi qualche cattedra. Meglio prendersela con i ragazzi. Tanto loro non sono organizzati, non fanno lobby, magari qualcuno pensa. 

Ma io credo che i ragazzi sono organizzati, invece. E sarei curioso di sapere quanti voti prenderebbe Poletti se si candidasse e ci fossero le preferenze.

Cambiamento di cultura

Che dovrebbe consistere nell’eliminare questa sorta di “fissazione per il voto alto” (tempo perso), e che Poletti reclama, è il vero problema oppure il reale problema risiede nel nostro sistema scolastico ed universitario così creato e voluto, non dai giovani, ma dai vecchi politici?

Simona

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