L'abito fa il monaco.

Purtroppo, nel 2016, rimane un proverbio ancora valido. Molti pregiudizi, troppa diffidenza, nei confronti dei più bisognosi. Soprattutto dei bambini, incapaci di arrecare male fisico. Unicef, con la campagna #FightUnfair, ha voluto, dimostrare, tramite un esperimento sociale, quanto siamo ancora legati alle apparenze, come la povertà sia ancora un'onta sociale. Unica attrice del video Anano, bambina di sei anni.
Nella prima parte del video la piccola protagonista viene vestita e pettinata in modo da sembrare una bambina ricca. Poi viene lasciata in mezzo alla strada ad aspettare. Risultato? Si avvicinano persone che le chiedono come sta, se si è persa, gente che le offre soldi e cibo.

Nella seconda parte, la situazione cambia. La bimba viene sporcata e abiti cenciosi sostituiscono i vestitini eleganti. La reazione è completamente diversa. Per strada, nessuno se ne preoccupa. Al ristorante viene guardata con sospetto e infine cacciata in malo modo. Non è stato possibile continuare oltre perchè la piccola era troppo scossa.
Un bambino rimane un bambino. E, come tutti, vuole essere accettato e amato.
-GUARDA IL VIDEO-
![]()
Ti è piaciuto quest'articolo? Leggi anche:
- Sfruttamento minorile e zero controllo. Questo il prezzo dei nostri abiti
- Olimpiadi di Rio, se la povertà è antiestetica
-Iscriviti al canale YouTube-

Due scarpine rosse coronate da un bel fiocco bianco. Questa l’istantanea che sigilla la conclusione della parentesi italiana per Oceane e mamma Marthe. Non conosciamo il volto della piccola, perché il bisogno di proteggerla e tutelarla è (stato) doppio. La malattia che l’ha colpita, la spina bifida, rischiava di diventare la sua condanna a morte – letteralmente – a causa dei pregiudizi degli uomini, prima ancora della gravità della patologia in sé.
Uno stillicidio silenzioso. «Una strage invisibile fatta di soprusi quotidiani che avvengono nel silenzio e nell’indifferenza generale, nell’omertà, nella superstizione, nell’inerzia delle autorità e delle forze di polizia corrotte». Così ha definito Annalisa Spinelli il fenomeno dei bambini falcidiati dal marchio d’infamia della stregoneria in Africa.
Il quadro è quindi, complessivamente, drammatico e scoraggiante. Non mancano, tuttavia, note di speranza. Una di queste è incarnata dalla storia di Hope, il bambino nigeriano abbandonato in strada dai genitori perché bollato come Ndoki (stregone). Il piccolo è stato salvato da Anja Ringgren, cooperante danese che da tre anni vive con il marito nello stato africano. 

Che unisce l’arte dissacrante di Bansky e le perle dialettali dell'attore. Il risultato è esilarante. 