Al revès, la sartoria sociale dove rimetti a nuovo tutto...anche la tua vita

Al Revès, la sartoria sociale

al-revès-sartoria socialeIn lingua spagnola, significa al contrario.
 

Metaforicamente, inversione di rotta, vedere le cose da un punto di vista diverso. Ribaltato all’occorenza. Come un vestito vecchio che può essere riciclato diventando una borsa nuova di zecca. O un’esistenza senza più timone che ritrova nel cucito un’occasione di riscatto.

Al Revès è il nome di una sartoria nel cuore di Palermo. Un luogo in cui anche le vite si riciclano e si reinventano, soprattutto quelle considerate di scarto, persone poco o affatto inserite nel tessuto sociale.

Un progetto di impresa interculturale che riunisce stilisti, sarti e amanti di ago e filo di varie etnie, giovani e meno giovani, persone con difficoltà umane, relazionali, occupazionali o esistenziali, immigrati, detenuti, donne in difficoltà. Tutti parte di un patchwork, scampoli che, insieme, vanno a creare un coloratissimo e resistente tessuto.

Cos’è una sartoria sociale                                                 

al-reves-8«Abbiamo iniziato in uno sgabuzzino, poi abbiamo vinto un bando e adesso siamo qua»dice Rosalba Romano, responsabile del progetto della cooperativa Al Revés. Ma cosa si fa dentro una sartoria sociale?

Riparazioni, realizzazione di vestiti, borse, oggettistica, corsi di cucito. Ultimamente la cooperativa si sta specializzando persino in tappezzeria artistica. In poche parole si creano percorsi lavorativi all’insegna di collaborazione, educazione e solidarietà.  

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Un settore non certo facile, ma che trova tuttavia la sua clientela, sia privata che aziendale, acquirenti che vogliono comprare prodotti ben fatti e originali.

«In Italia arrivano tanti stranieri con capacità sartoriali apprese spesso anche grazie al lavoro svolto dalle missioni che però non hanno il livello di professionalità richiesto dai nostri standard e dal nostro contesto » Per questo, è importante in primis, educare al lavoro.

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Lo stesso tipo di percorso viene sviluppato con persone svantaggiate non necessariamente straniere, che non riescono a inserirsi in un percorso professionale: individui con capacità fisiche o mentali ridotte o a volte, semplicemente considerate troppo vecchie per entrare nel mercato del lavoro. Ma anche studenti volenterosi, freschi laureati, per cui Al Revès diventa occasione di toccare con mano il cambiamento dal basso.

Insomma non è solo un percorso professionale ciò che si fa insieme ma anche esistenziale, con l’obiettivo di far nascere una comunità educante, che punti a ridare alle persone fiducia in sé stesse.

I progetti di Al Revès

I progetti portati avanti sono diversi, ciascuno con un’attenzione particolare dedicata ad una determinata categoria. C’è Flowers of Hope, laboratorio di creazione di fiori di tessuto realizzati da donne provenienti da contesti difficili, quali maltrattamento o abbandono.

Oppure Sigillo, esclusivamente dedicato alle detenute all’interno della casa circondariale Pagliarelli di Palermo, iniziativa che mira a creare un ponte tra dentro e fuori, favorendo la risocializzazione una volta uscite di prigione.

O ancora Wear the difference, un preciso progetto di moda etica. Capi unici di manifattura artigianale, realizzati da immigrati e persone con disagio sociale insieme ad artisti locali. Ogni vestito, una storia da indossare.

La storia della sartoria Al Revès è diventata persino un documentario premiato al Deauville Green award, festival francese dedicato ai temi di crescita sociale. Storie dell'altra moda, la sartoria sociale di Palermo è stato realizzato all'interno del laboratorio di comunicazione sociale del progetto FQTS, volto a produrre un video di taglio documentaristico per ciascuna regione del Sud. 

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Al Revès simbolo di lotta alla mafia

al-revès-9Un progetto notevole che da poco è diventato simbolo di rinascita anche come lotta contro la criminalità locale. È stata infatti inaugurata a Palermo la nuova sede in via Casella 22. Dove prima c’era Mobil shop, attività di copertura gestita da terzi per conto di Salvatore Buscemi, noto mafioso, e confiscata nel 1998, ora verrà riempita da scampoli, ago, filo e tanta speranza.

«Un segnale positivo – ha dichiarato il sindaco del capoluogo siciliano Leoluca Orlando - che ha anche un valore simbolico straordinariamente importante ed è la conferma del cambiamento della città che un tempo era la capitale della mafia ed oggi è, a pieno titolo, capitale della cultura, non solo artistica, ma anche di vita, legalità, solidarietà, accoglienza».

 

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di Irene Caltabiano

 

 

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