La bici? Una moda passeggera per signore.
Le auto? Troppo costose per diventare popolari. Cinema sonoro? Il dialogo è sopravvalutato. Queste sono solo alcune delle sentenze che vennero pronunciate su idee che ora sappiamo essere di successo mondiale. Risulta davvero difficile alle volte prevedere il futuro e, ciò che inizialmente può sembrare un flop destinato al dimenticatoio, potrebbe invece rivelare piacevoli sorprese. L'altra faccia della medaglia è la consapevolezza universale che sono principalmente gli errori a fare di noi le persone che siamo oggi. Ammettere che, a volte, non tutto può andare come previsto.
Pensate che nella celebre e super efficiente Silicon Valley i fallimenti diventano un vanto, un trofeo da mostrare. Google premia con soldi i dipendenti che, alle prese con un’idea bislacca, decidono comunque di portarla avanti. Fino a quando non si rendono conto da soli che forse era un'invenzione del tutto priva di fondamento. Poco male; le convinzioni, anche sbagliate, sono sinonimo di fiducia in in ciò che si fa, anche se poi l’esperimento non dovesse andare a buon fine.
Il museo del fallimento
In Svezia,precisamente ad Helsingborg, non solo la pensano allo stesso modo, ma credono che il fallimento vada addirittura
messo in esposizione. Nasce così il museo dei flop, ovvero tutte quelle invenzioni che dovevano spopolare e invece non hanno preso piede. Qualche esempio? Le lasagne della Colgate, i Google Glass, la Coca cola al sapore di caffè e le penne Bic per ragazze.E, per i nostalgici, anche il Solero Ice. Tra le chicche persino un gioco da tavola realizzato dal novello presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.
Settore tecnologia invece troviamo il Betamax di Sony, antenato del videoregistratore, subito superato dal VHS. N’Gage di Nokia che invece è il probabile trisavolo dello smartphone, un cellulare sul quale si poteva contemporaneamente giocare e chiamare. Un’altra simpatica cianfrusaglia era il Twitter Peek, un piccolo dispositivo adibito solo a twittare ( forse lo conoscevano solo i creatori).
Una collezione da ottanta oggetti che sicuramente stimola curiosità. La mente dietro al museo del fallimento è Samuel West, psicologo e ricercatore dell’Università di Lund, che dichiara:«Fallire aiuta, fa parte del business e della vita. E, soprattutto, è passando da un fallimento all'altro, che ci si allena veramente a ricevere soddisfazioni. L'importante è non perdere l'entusiasmo».
E, a discapito del nome, l’originale esposizione potrebbe rivelarsi un grande successo.


«Ieri ho scritto una lettera per spiegare il mio suicidio». «Soffro di depressione».«Ho fatto l’amore con la ragazza del mio migliore amico». Piccole (e innocue?) confessioni, pesi che ci si porta dentro e non si ha il coraggio di rivelare ai diretti interessati. Meglio parlare con
si fa o si dice qualcosa di sbagliato e, se non si riesce a confessare il proprio disagio ai diretti interessati, scrivere o parlare con sconosciuti diventa uno strumento catartico. Una volta i detentori dei segreti erano i confessori religiosi, oggi sono più frequenti gli psicologi. Ma cosa c’è di meglio della rete, luogo in cui indossare una maschera e confessare l’inconfessabile in maniera anonima
Purtroppo l’atteggiamento da hater è transculturale e transgenerazionale e spesso non è possibile farne una descrizione precisa. Tuttavia una ricerca americana del 2014 ha individuato alcune caratteristiche psicologiche frequenti in chi ha atteggiamenti aggressivi sui sociali: la presenza di un certo sadismo, il godere nel mettere gli altri in difficoltà, mancanza di empatia, desiderio di manipolare le persone.
Che poi, i sentimenti che venivano trasmessi, erano tutto fuorchè semplici. Erano gli anni delle serie TV che hanno formato una generazione, forse anche un paio, oltre che rinvigorire alcuni ideali. The O.C., Dawson’s Creek, One Tree Hill. Fino alla più contemporanea Gossip Girl.
