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Svuota tutto perché la Felicità è nulla! Felici, spensierati e senza scopo

Allietante vuotezza

FelicitàNiente. Il vuoto. Non mi viene in mente nulla, una spensierata assenza di pensiero. Senza fondo e senza scopo, eppure mi sento bene, a dire il vero... felice. Badate, è un attimo e presto torna la solita compulsione delle immagini che affollano la mente, il brulichio che travasa di pienezza esistenziale. E sì, la consueta definizione di felicità, la vuole come senso generale di appagamento e pieno soddisfacimento di un bisogno (primario).

Come?! io parlo a vuoto! Sì, perché di vuoto è fatta la mia precedente condizione felice.  Ma che dici? Essere felici è un’arte, insomma! È la corsa sfrenata al raggiungimento di un obiettivo o la realizzazione di un desiderio espresso. Però può essere anche la rinuncia al piacere o alla concupiscenza, nonché a tutte le manifestazioni illusorie del modo. Assenza di desiderio dunque, o sua realizzazione? Pieno godimento o misera consolazione del poco che si ha? Gli universali attribuiti a questa chimera sono diversi e tra loro contrastanti e il suo ottenimento comprende una lauta precettistica che spazia dalla psicologia alla religione, dove più di una tradizione concorda.

Svuota tutto!

Vuotiamo il sacco e vediamo cosa viene giù. Precisiamo subito che lei, la Felicità è sfuggente e tuttavia contagiosa, endemica per chi non la brama. Che stranezza, ci scappa ma ci infetta. La cosa migliore da fare, almeno per ora, è seguire due dei comandamenti della guida al vivere felici: appelliamoci alla pace e alla realtà, che mi paiono essere valide condizioni di partenza per arrivare al vuoto che ci allieterà. Le obiezioni da sollevare sono diverse, lo capisco. Bisogna agire per realizzarsi, correre per raggiungere, oppure vegetare in una letargica beatitudine che, oziosa, gode dell’eterno e reale presente? Basta domande! Adesso svuoto tutto!

Educata, positiva e ricercata

FelicitàPer la Psicologia Positiva (La scienza della felicità), Donna Felicità va tanto educata quanto ricercata. Non è questione di fortuna, come potrebbe sembrare, perché il cervello può essere istruito sia alle frequenze positive della felicità, sia a quelle negative dell’infelicità. Quindi, per ottenere cotanta gaiezza basta solo educarsi a spostare il proprio punto di vista e osservare cosa c’è di buono e bello (il Kalos kai Agathos della Grecia classica che li reputava inscindibili) e largo al pensiero positivo, banalizzante e pericoloso, talvolta, quanto il pessimismo. Magra consolazione. Provare riconoscenza e gratitudine verso la propria esistenza è in sé sicuramente giusto e importante, ma come fare quando la vita sembra davvero un inferno? Come posso accontentarmi del fatto stesso di essere vivo, o forse dovrei darmi addosso per la mia, umana, condizione? Così, chiaramente, non funge!

Programmare a vuoto

Entrambi i pensieri, positivi o negativi che siano, possono essere da noi stessi alimentati e programmati con diversi fini, la Psicologia Positiva nel fornire le sue prove empiriche e metodi efficaci di comportamento, si scontra con tutta quella parte di tradizione filosofico –religiosa che tra Occidente e Oriente, altro non promuove la de-programmazione. Ossia la distruzione dell’Io (Ego) e della sua attività compulsiva di riempimento per mezzo della produzione incessante di continue immagini che sovraffollano la mente. Quindi perché farcirsi la testa con nuove applicazioni e software quando andrebbe svuotata, dopo aver eseguito una formattazione che riporta il disco alla verginità?

Tu non sei quello

felicitàOltretutto per essere felice e soddisfatti, sempre secondo dati epistemologici di ricerca psicologica, basterebbe paragonarsi a persone peggiori di noi. Secondo me, ecco un altro bel tentativo di gratificare l’ego che, invece di imparare l’umiltà nell’accettazione di se stesso, nel riconoscimento di ciò che è altro da sé, lo rigonfia al solo scopo di risollevarlo. Il paragone, che è comprovato alimentare l’autostima, rischia di essere una brutta gigantografia dell’Io che torna a farsi ipertrofico e ripete il solito errore dell’identificazione, stavolta di cosa è peggio da sé. Così tu sei questo, ma non sei quello. Non è compresa affondo l’essenza profonda dell’ultima affermazione ai fini della felicità. Se affermo tu non sei quello, non c’è giudizio dispregiativo in quello che dico ma una discriminazione consapevole e una rinuncia all’identificazione con quanto ho davanti. Abbandonata ogni pretesa di voler etichettare me, l’altro e la realtà, tutto cade nel vuoto.

Siate nulla

Così, non sono né questo, né quello. Siate nulla, consiglia spesso lo zen, ma non come rinuncia al mondo e ai suoi godimenti. Comprendere che non si è nulla rispetto alla grandezza dell’esistenza, ci riporta a quello stato di verginità di cui parlavo sopra. Se non appongo definizione, forma, etichetta, se dico di non essere le mie esperienze, il mio passato, i miei pensieri, il nulla che è in me non avrà bisogno di essere riformato, determinato o marcato in etichette. Realizzare questo vuoto che distrugge tutte le immagini della mente e i suoi programmi, è per molte dottrine filosofiche l’essenza della felicità incondizionata, perché libera da ogni possibile vincolo e condizione.

Adesso sparite!

FelicitàMica siamo asceti e rinunciatari della mondanità! È vero, non discuto, ma in quanti siamo perennemente infelici? Io poi, vi propongo di annullarsi e vegetare. Figuriamoci, è un ragionamento privo di contenuto, dunque vuoto. Non date retta me. Siate ottimisti e condizionatevi positivamente! Schiavi di una continua e ‘inadeguata narrazione’ di voi stessi, contate le cose belle successe in giornata, rallegratevi di chi è peggio e ricordatevi delle vecchie glorie e vittorie avute per rafforzare l’inganno del cieco punto di vista volto al più felice (in)successo. Nel frattempo che vi stressate a riempirvi di appagamento, per un attimo fate cadere tutto questo nel nulla. Siate nulla. Sparite nel vostro ego. Niente. Il vuoto.

Siete Felicità

Adesso fate spazio. Siete mare, siete cielo, stelle, terra e sole che vi contengono perché ora gli avete lasciato spazio, avete fatto entrare quello per cui prima non c’era posto. Siete senza niente, senza affanno, tensione e senza scopo. Dite la verità. Siete felici? Anzi, siete felicità senza condizioni.

di Laura Pugliese

 

 
 
 

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In campo d’Amore, cosa stai coltivando? L’Amore è un buon seminatore

Giardinaggio romantico

piantina-mano-amoreSpesso si paragona l’amore a un fiore che può crescere, e ognuno è un po' un seminatore che prepara un terreno, fertile o meno, non si sa. Il tempo che hai dedicato alla tua rosa l’ha resa tale, ma non esiste rosa senza spine, fiore di loro che non sbocci dal fango, terreno arido e assetato da arare o argilloso da lavorare. Nell’umana valle del fare anima (J. Hillman), nello sconfinato campo che chi-amiamo Amore, a torto o a ragione, ognuno è anche un terreno a sé stante.

Tra erbacce e ortiche

Una possibile zolla personale dove coltivare speranza, emozioni, desideri è quant’altro la nostra visione rosea e romantica della fioritura, contempli. Tuttavia molto spesso succede di aver sbagliato semina, aver valutato male il terreno, avere innaffiato troppo il suolo e si finisce per raccogliere poco, niente, troppo, zizzania o tempesta. Ogni essere umano è un ‘buon seminatore’ in potenza, che per prove, tentativi ed errori, si attiene per quanto gli sia possibile, alle leggi stagionali della natura, compresa la sua.

Tutti fioristi e giardinieri

Senza stare ad indagare troppo le cause psicologiche o le dinamiche familiari, alla base dei rapporti andati più o meno a male, che giocano un ruolo a dir poco rilevante nello svolgersi di qualunque situazione a due, meglio usare qualcosa di più semplice e immediato come una buona parabola. Gesù, lo chiamo sempre in causa. Succede di amare e non essere amati, coltivare quotidianamente e amorevolmente un campo sterile o una terra buona. A tutti capita di vedere appassire i sentimenti più belli del proprio cuore come petali essiccati al sole. C’è chi irriga e innaffia troppo, e per questo prosciuga la sua fonte e disperde lacrime che esondano, chi invece è talmente inaridito nei suoi sentimenti da avere sgretolato ogni cuore.

amore-fioreInsomma, perché per alcuni l’amore cresce, per altri no, o magari germoglia là dove non si aspettava? Chi raccoglie arbusti, chi pochi fili d’erba, chi ortiche inaspettate. È un campo sconfinato quello dell’amore, e di sicuro, non si sa mai cosa aspettarsi. Resta inteso il detto ‘come semini raccogli’, quindi ognuno sia un seminatore consapevole, buono o cattivo ma responsabile.

Re, Regine e imperi per mezzadri e coloni

Altro topos di una certa fiorente spiritualità new age parla di ciascuno come proprietario, terriero, di un giardino interiore, dicesi anima. Sicuramente ognuno è imperatore del suo cuore, successivamente colono o mezzadro di un’altra porzione di terra che la vita gli affida, come incontro ‘casuale’, con un altro essere umano (modo/anima-realtà) a sé stante. Atolli in orbita di un Cielo che, fertile di Sapienza, affida uno alle cure dell’altro perché crescano, comunque vada. E può andare bene, come male, ma anche questo è provvidenziale, chissà…

Parabole d’amore

Gesù (in Matteo 13,1-23) ci parla di un buon seminatore e di tanti campi diversi dove la semina, per caso, avviene. L’Amore, nel nostro caso è il seminatore, che è sempre buono e mai cieco e mai miete. Vediamo come.

radici-amoreL’Amore gettato lungo la strada. L’Amore a un certo punto arriva e si presenta sulla tua strada, e lascia cadere po' della sua semenza ma subito gli uccelli lo divorano. Questo è il caso in cui l’amore che dai è ascoltato ma non compreso dall’altro, per cui quello che gli hai messo nel cuore è presto divorato da forze contrapposte.

L’Amore gettato tra i sassi. Può a(c)cadere in un terreno roccioso, con poca terra, dove subito germoglia, perché in esso non c’è profondità. Questo è un Amore superficiale, non profondo e vero, un amore immaturo (E. Fromm) che subordina il bisogno della presenza dell’altro all’Amore stesso, che non è dunque il fine primo e ultimo della relazione. L’amante accoglie con gioia la novità, ma siccome non ha radice in sé, è incostante e immaturo e alle prime difficoltà e perplessità, fugge e si tira indietro scandalizzato.

L’Amore gettato tra le spine. Queste crescono e lo soffocano. Qui le preoccupazioni della quotidianità e gli inganni del mondo (denaro, sesso, potere, vanità, narcisismo, declinazioni dell’ego), sono così forti che lo avvelenano e non portano alcun frutto.

L’Amore dato alla terra buona. È quello maturo che ha integrato eros, sentimento e spirito, e ha realizzato sé stesso nell’altro attraverso l’ascolto e la comprensione. Penserete all’Amore spirituale, o a una sorta di ideale irraggiungibile. Come si è dato un amore simile, che ha maturata la presenza dell’altro nella mia vita come secondaria all’amore e non come dipendenza affettiva o dramma familiare?

L’amore integrale

fiori-cuoreQuesto amore integrale (V. Mancuso) si è spinto oltre per realizzarsi, si è posto su un piano più elevato dal quale ha potuto scorgere tutta la vallata, così da correggere e correggersi, ha sopportato la fatica della correzione. Questo Amore ha sostenuto il fetore della concimazione che ha permesso la rinnegazione e la purificazione attraverso l’altro. Questa messa in discussione reciproca ha portato alla libertà nel sesso e nel sentimento, preziosi alleati di questo Amore. Il lezzo del concime, apre gli occhi a quella luce che ci mostra ognuno per quello che realmente è. Un essere umano degno amato e non idolatrato.

Accattone o Imperatore?

Certamente continueremo a disperdere semi lungo gli innumerevoli sentieri che batteremo, e qualcosa spunterà, qualcosa forse no. Cammineremo lungo gli stessi percorsi, o ne cercheremo altri, calpesteremo altri suoli, scopriremo nuove terre o coltiveremo sempre le stesse. Tuttavia, in questa lunga ricerca e umano desiderio di fioritura e bellezza, vediamo di non essere un accattone ai margini del campo, mendico di cure e attenzioni. L’Amore non fa mai male, e nel frattempo che ami, cerca di essere un imperatore o un’imperatrice del tuo e dell’altrui cuore. Tu semina e dona che da qualche parte, qualcosa di buono cresce sempre. Ma scegli bene il tuo campo, potresti scendere in guerra, come fare pace.

di Laura Pugliese

 

 
 
 
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Quanto vale un probabile beneficio? Un servizievole tornaconto

Qual è il tuo valore?

Quanto vali? Fammi vedere! A peso d’oro chi sei? Sei produttivo o in perdita? Valore! Si pensa a guadagnarselo, spenderlo, trasportarlo, incassarlo ma chi ne è davvero consapevole detentore? La creazione di valore che cos’è, come si fa? Il valore di una persona è dato dalla grandezza del suo cuore, che la diceria popolare vuole pari alla grandezza del pugno, fatevi i vostri conti e proporzioni. Oppure sono le facoltà morali, ineccepibili e incorruttibili, la forza emotiva, l’onestà intellettuale e tante belle parole e ideali. Fesserie per buonisti.

 Chi siete? Nella battuta musicale, sul rigo di uno spartito, il valore s’inserisce tra la durata delle note (suono) e quella delle relative pause (silenzio). Ognuno ha una sua melodia che canta intimamente, una sinfonia personale a ritmo con il Cielo. E chi siamo sotto questo cielo, noi, donne e uomini di valore?

Valide speranze? Una media ponderata

Dimentichiamoci dei valori assoluti. Pensiamo invece al valore atteso, quello della teoria della probabilità, che è chiamato anche speranza matematica. Buffo no? Sempre a fare i conti con il destino. Qui si parla di valore atteso di una variabile casuale (guarda caso, metti un essere umano X) e discreta. Per avere dei probabili risultati, tocca fare una media ponderata. Questo valore speranzoso è un indice di posizione che rappresenta il valore previsto, e sperato, che si potrebbe ottenere in un gran numero di prove possibili. Dunque il probabile esito, positivo o negativo che sia, è testimone di ciò che il valore di partenza dichiara di poter ottenere.

Non vale!

Che fatica! Ma che sto dicendo e che c’entra questo? Ho iniziato a parlare di valore umano e mi ritrovo a fare probabilità statistiche. A occhio e croce sembra di stare su una roulette russa. Siamo alla scoperta del valore personale e mi perdo per strada? Niente affatto. Conoscere se stessi, scontato punto di partenza, rende merito di come e in cosa possiamo servire il nostro prossimo. Se non sono consapevole del mio intrinseco valore, come posso servire? Così non vale!

Non ha senso!

Con calma, ci arriviamo. Nel linguaggio, in riferimento alle parole, ai segni di interpunzione o ai simboli, il valore equivale al significato degli stessi! Conosci il tuo valore (significato) allora? In logica poi, la validità è la corretta formulazione di un ragionamento per cui questo è vero per qualsiasi valore di verità si assegni alle variabili che lo compongono. Ci risiamo, penserete! Valori, variabili, probabilità…aggiungeteci pure: verità.

Valore – significato – verità

Diciamo che il mio valore è dato da ciò che è vero, e che ciò che è vero ha significato. Abbiamo trovato una persona valida o valevole che sia. Più o meno tutti abbiamo una carta d’identità (io no ovviamente). E la validità di questo documento ne legittima l’autenticità. Adesso andiamo a correlare il valore con il significato, il significato con la validità, la validità con l’autenticità. Ripeto:

  • valore → significato
  • significato → validità
  • validità → autenticità

Fatto?

Saburau. Come posso servire?

Mettiamo che il valoroso, o la valorosa, abbia l’animo nobile di un samurai, derivazione del giapponese samuraru che significa ‘essere al servizio di…’. Questo individuo, creatore del suo intrinseco valore e foriero di altrettanta validità nel mondo, non è una persona servile né inserviente. Nel Giappone feudale quella del samurai era una figura privilegiata della nobiltà guerresca, che era solita ‘tenersi al lato’ per ‘servire’ (saburau). Bando a velleità bellicose, per i meno coraggiosi mi spiego meglio. Questo stare al lato, rappresenta un’attitudine che rifulge l’oro e la bellezza spirituale di chi si pone in modo umile e disinteressato al servizio del bene comune (ho elevatissimi ideali oggi, non fate caso!).

E come ci è arrivato costui a questa perfezione spirituale? Di certo non armato di katana, ma di buona volontà e tanta, ma tanta umiltà consapevole. Ha fatto a pezzi l’ego e ogni suo tentativo narcisistico di mostrarsi caritatevole e solidale. Non ha maturato i suoi interessi sulla colletta della domenica, non ha scattato foto motivazionali di vano volontariato, tanto meno ha raccolto fondi per la gloria di una charity alla quale sentirsi socialmente partecipe e responsabile.

Fare bene

Insomma, senza fare di tutta l’erba un fascio, e senza togliere nulla a nessuno, siamo abituati a pensare che il mio valore al tuo servizio deve avere un tornaconto, chiamato beneficio. Certo, ma del dubbio. E proprio il beneficio è un termine latino composto da bene (bene) e dal verbo facere (fare). Fare bene significa quindi agire correttamente, in accordo con la propria natura essenziale, quella che dà senso, validità e autenticità a chi realmente siamo e a quello che facciamo.

Gratis è utile

Il verso servire è gratuito. Non chiede compenso, né prevede tornaconto. Questo torna davvero utile, altro termine latino che significa usare. Quindi, sempre secondo me, usiamo bene chi siamo per quello che sappiamo veramente essere e fare. Non c’è valore più grande e utile di questo!

di Laura Pugliese

 
 
 
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