Wikipedia, l'enciclopedia "comunista"

Ogni giorno miliardi di persone la usano per le ricerche più disparate. 
 
Wikipedia è l’enciclopedia per definzione. Abbiamo ormai detto addio ai pesanti tomi che ci facevano consumare i polpastrelli. Oggi con un click, hai la risposta a qualsiasi domanda. Un progetto che ha indubbiamente del miracoloso. 
 
Termini e vocaboli possono essere modificati liberamente, senza nessun moderatore.  Wikipedia ha raggiunto 38.191.251 voci e 250 lingue e da poco ha spento le quindici candeline. Ne ha fatta di strada da quando,nel 2000, Jimmy Wales aveva lanciato Nupedia, la versione 1.0. L’esperimento si rivelò un flop, in quanto prevedeva diverse fasi di revisione.  Così Jimmy e l’ex socio Larri Sanger decisero di cambiare musica con un sito wiki, piattaforma in cui chiunque poteva creare un contenuto e condividerlo sul web, senza alcun controllo preventivo. 
 
Era il 15 Gennaio 2001 e Sanger voleva essere stupito. «  Divertitemi » scriveva ai primi collaboratori « Andate lì e aggiungete 

un piccolo articolo. Vi ci vorrà tra i cinque e i dieci minuti».  Risultato? Da ventuno contenuti di Nupedia, si passò ai 21mila della celebre piattaforma open source. « Per anni abbiamo continuato a ricevere segnalazioni di gente preoccupata. Ci avvertivano della presenza di un bug sulla pagina» ricorda  ridendo Freida Brioschi, presidentessa italiana del Wikimedia Foundation. «Il passo più difficile è stato convincere il resto del mondo che Wikipedia funzionava proprio così, in modo libero e democratico. All’epoca nessuno conosceva le licenze free e l’open source era considerato roba per smanettoni» . L’introduzione del sistema wiki invece si basava su tre semplici concetti: la conoscenza è libera, accessibile a chiunque nella propria lingua , ma soprattutto ciascuno è sia fruitore che produttore. 

Ma come si verifica l’attendibilità delle voci? Qualche aiuto tecnologico esiste, come Ores, software che assegna un punteggio di veridicità a ogni nuovo intervento. Tuttavia il cuore di Wikipedia rimangono le persone che, quotidianamente (e soprattutto gratuitamente) controllano le fonti . A molti sembra strano, ma tutti quelli che hanno iniziato a collaborare non hanno più smesso. Bishaska Datta, ex giornalista del The Times of India e assiduo cooperatore racconta così la sua esperienza. « Qui trovo un senso di comunità e scopro il piacere di partecipare a qualcosa di utile per il mondo, che viene usato dagli altri. Non ho mai visto individui più appassionati in vita mia».
 
Wikipedia potrebbe aver realizzato sul web quel comunismo che nel mondo reale è morto e sepolto?  Chi può dirlo, ma il concetto è affascinante.  Professori universitari e studenti, casalinghe e donne in carriera, si ritrovano a lavorare  sullo stesso piano, uno di fianco all’altro. Non tutti però sono d’accordo con questa diffusione del sapere, definendola addirittura (ahimè) “ un cesso pubblico” per l’attendibilità dei contenuti ( dichiarazione dell’ex capo redattore di Britannica). La famosa enciclopedia online non ha mai preteso di essere perfetta, solo costantemente migliorabile. Peraltro il regolamento per la pubblicazione di termini è diventato più severo, in quanto molte voci riguardano istituzioni ufficiali. Il principio democratico alla base tuttavia non è stato mai tradito. 
 
I casi di violazione però non sono mancati. Rimase indicativo l’episodio di Roger Bamkin e Maximilion Klein, due editor che modificavano contenuti sotto pagamento, avvenimento che sconvolse i wikipediani. Niente paura, i soci fondatori hanno garantito che l’enciclopedia sarà sempre gratuita. I finanziamenti  arrivano esclusivamente da donazioni individuali della gente attorno al globo. I volontari credono infatti che la pubblicità potrebbe incidere sull’abilità di rimanere neutrali e indebolire quindi la fiducia dei lettori. Ma soprattutto, crollerebbero i presupposti per cui Wikipedia è stata creata. Prossimi obiettivi? L’integrazione di nuovi media, dai video all’organizzazione di dati. 
 
«Esiste un solo bene, la conoscenza »diceva Socrate. I wikipediani non saranno dunque i nuovi filosofi?
 
Irene
 
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