La storia di Ampelmann, l’omino del semaforo berlinese

All’improvviso uno sconosciuto.

AmpelmannPasseggiando per le vie di quella che un tempo era Berlino Est si ha l’occasione di fare la conoscenza di un simpatico cinquantaseienne di nome Ampelmann, l’omino del semaforo. No, non si tratta di un tizio che cerca di vendere kleenex e accendini agli automobilisti teutonici, ma dell’icona (verde o rossa) che indica ai pedoni quando possono o non possono attraversare la strada.

Ideato nel 1961 dallo psicologo e designer Karl Peglau, su incarico della commissione per il traffico della capitale socialista, Ampelmann è divenuto ben presto un simbolo della cultura della ex Repubblica Democratica Tedesca. Il primo esemplare di semaforo pedonale con l’omino fu installato nel 1969 all’incrocio tra la Unter den Linden e la Friedrichstrasse, e riscosse immediatamente un gran successo. Grazie alla chiarezza dell’immagine, infatti, il numero di pedoni investiti cominciò a diminuire sensibilmente, con ampia soddisfazione delle autorità preposte alla risoluzione del problema.

La popolarità dell’Ampelmann crebbe molto rapidamente, al punto che fu adottato in programmi televisivi didattici per insegnare la sicurezza stradale ai più piccoli, oltre a essere menzionato in programmi radiofonici e a comparire in alcuni giochi.

Dopo la caduta del Muro, tuttavia, il processo di riunificazione tedesca coinvolse anche il simpatico omino luminoso, poiché la segnaletica stradale della DDR fu smantellata e uniformata a quella occidentale. Ciò scatenò la protesta dei tedeschi dell’est che chiesero e ottennero che il loro simbolo fosse preservato.

A partire dal 2005, poi, esemplari di semafori pedonali con l’Ampelmann cominciarono a essere installati anche nei territori dell’ex Germania Ovest, segnatamente a Berlino e Saarbrücken. Questo fu probabilmente l’unico caso di contaminazione al contrario tra le due diverse culture, in quello che più che un processo di riunificazione fu una vera e propria annessione dell’Est all’Ovest.

Dall’ospizio alla fama internazionale.

AmpelmannProprio quando sembrava che la luce dell’omino si fosse definitivamente spenta, un grafico originario di Tubinga di nome Markus Heckhausen pensò di sfruttarne le incredibili potenzialità a livello marketing. Inizialmente (correva l’anno 1995, ndr) si limitò a ritirare i semafori dismessi e a trasformarli in lampade domestiche, fondando la società “Ampelmann GmbH”. L’intuizione ebbe un grande successo: le lampade andarono a ruba e la stampa si interessò all’iniziativa.

Negli anni seguenti, Heckhausen ampliò la gamma di prodotti ispirati all’omino, producendo magliette, caramelle gommose, biciclette, portachiavi e ogni sorta di gadget, aprendo diversi negozi e un ristorante a tema, in quel di Berlino. Nel 2006, peraltro, l’imprenditore vinse la battaglia legale contro Joachim Rossberg, che in passato deteneva i diritti per lo sfruttamento del marchio ma aveva dimenticato di rinnovarne l’acquisizione.

Il negozio di punta tra quelli aperti da Markus Heckhausen si trova esattamente nello stesso punto in cui fu installato il primo semaforo pedonale con l’Ampelmann, proprio all’incrocio tra la Unter den Linden e la Friedrichstrasse. Molto simile a un parco giochi, al suo interno si trova anche un fornitissimo bar, oltre al materiale in vendita. Inutile sottolineare quanto la struttura costituisca un’attrattiva irrinunciabile per i turisti, che la affollano a tutte le ore del giorno.

Essere o apparire?

AmpelmannLa storia di Ampelmann insegna essenzialmente due cose di cui qualsiasi aspirante imprenditore dovrebbe far tesoro. La prima riguarda l’importanza della semiotica nella scelta del brand, ossia il significato immediatamente trasmesso dal marchio. Più quest’ultimo è evocativo, maggiore sarà la possibilità che si diffonda in modo capillare e sia in grado di autosostenersi in termini di popolarità.

Spesso, invece, si bada solo all’estetica senza considerare che in nessun altro campo come nel commercio “l’abito non fa il monaco”. Ben venga dunque il minimalismo, di cui lo stesso omino luminoso è stato “vittima” (il primo prototipo di Ampelmann, infatti, era molto più dettagliato della versione definitiva, ndr).

Il secondo aspetto da tenere in considerazione, infine, è che dovremmo essere meno distratti. In molti casi tendiamo a rottamare idee oppure oggetti che in realtà hanno ancora un gran potenziale, talvolta addirittura mai espresso. Quindi anziché avventurarsi nella ricerca di trovate esotiche, magari sarebbe il caso di dare un’occhiata al ripostiglio o in qualche discarica, perché è lì che si nascondono i veri tesori.


In fondo che senso ha spendere tempo e risorse in campagne marketing per dare un senso a qualcosa che non ne ha, quando è pieno di icone già di per sé virali che aspettano solo di essere reinventate?

 

di Giovanni Antonucci

autore del romanzo "Veronica Fuori Tempo"

 

 

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