Smartphone dipendente? Diffida degli integralisti: per disintossicarti serve il buonsenso

Ognuno ha un tasto dolente capace di risvegliare in modo fulmineo la propria parte intollerante

Dipendenza-da-smartphoneA me, succede quando sono fuori con qualcuno, e questo controlla continuamente – e magari con malcelato nervosismo – il cellulare. La reazione impulsiva, irrefrenabile, ma socialmente inaccettabile, sarebbe quella di strappare di mano all’interlocutore l’aggeggio infernale e farlo volare fuori dalla finestra. Per fortuna, però, la razionalità ha la meglio…e quindi preferisco adottare un atteggiamento "a specchio", concentrandomi su cose più piacevoli, tipo la scelta di una buona birra.

Sarà per la mia intolleranza verso i forzati del web 2.0 che mi allarmo, appena realizzo di essere caduta anch’io nella trappola mentale del monitoraggio live delle notifiche (WhatsApp, Facebook o email). Quando il termometro del mio umore oscilla in base al fatto che sul cellulare compaia un’icona verde anziché blu, è pressoché certo che l’ansia, come la marea, sta salendo.

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Finora percepivo queste sensazioni in modo epidermico ma confuso, condividendole raramente con gli altri. Avverto da sempre un certo imbarazzo, quando cerco di comunicare qualcosa che non posso descrivere razionalmente, e cioè dipanando un filo logico. Così, leggere un articolo sugli effetti indotti dalle notifiche dello smartphone mi ha permesso di riordinare emozioni note ma vaghe in quanto rimescolate, realizzando che, a dispetto di quanto pensassi, le stesse hanno un robusto fondamento.

La dipendenza da social (de) forma la mente

Dipendenza-da-smartphoneUno studio pubblicato su NeuroRegulation ha evidenziato che il costante e prolungato utilizzo dello smartphone ha il potere di plasmare – letteralmente – le connessioni neurologiche del nostro cervello. Queste ultime assumono un aspetto simile a quello riscontrato in chi consuma abitualmente farmaci oppioidi per lenire il dolore.

La ricerca, a cui ha fornito un sostanzioso contributo Erik Peper (docente di educazione alla salute a San Francisco), è scaturita da un sondaggio effettuato su circa 130 studenti.  L’esperimento ha dimostrato che sostituire la comunicazione in praesentia con quella mediata dai cellulari amplifica angoscia e depressione creando i presupposti per una condizione di emarginazione. In tal senso, gioca un ruolo determinante il fatto che l’interazione via smartphone sia priva, in un certo senso, monca, del prezioso  contributo del linguaggio gestuale e corporeo.

Controllare le notifiche del cellulare mentre si mangia, si lavora o si guarda un film, abbatte sostanzialmente l’attenzione dedicata a ciascuna attività. Peraltro i circuiti neuronali coinvolti quando utilizziamo lo smartphone sono gli stessi che entrano in gioco in situazioni di rischio.

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Dipendenza-da-smartphoneIl contenuto della ricerca pubblicata su NeuroRegulation è stato diffuso, in Italia, contemporaneamente all’intervista a Pierpaolo Cortellini, ricercatore e past-president della Federazione Europea di Parodontologia. Lo studioso ha dichiarato di non aver mai avvertito il bisogno di usare un cellulare, e questa scelta ha avuto ripercussioni anche sulla vita familiare.

Gli smartphone di moglie e figli sono banditi dalla tavola, e quando lo studioso si trova lontano da casa, è lui a contattarli, ma solo dopo essere giunto a destinazione.

Insomma, una scelta di vita improntata al fiero rifiuto del “mito” della reperibilità h24. Un approccio per certi versi ammirevole e coraggioso, in quanto nasce dalla consapevolezza che nessuno è indispensabile; d’altra parte l’informazione gioca oggi un ruolo paragonabile a quello di aria e acqua, dunque a tal proposito le dichiarazioni di Pierpaolo Cortellini suscitano qualche perplessità. Venire a conoscenza di eventi significativi in tempo reale anziché in differita può modificare profondamente il corso delle nostre esistenze; lo spettro di esempi possibili è ampio ed eterogeneo (scioperi, attentati, ecc ecc).

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Last but not least, non tutti possono permettersi il lusso di rifiutare in toto l’utilizzo dello smartphone: di certo non chi, per ragioni professionali, ha a che fare quotidianamente con il web 2.0. E, specularmente, neppure chi, come i medici, svolge un lavoro in cui la parola d’ordine è tempestività.

Insomma, come spesso accade, la qualità della vita dipende dalla nostra capacità di mettere a punto una terza via. Un compromesso tra dipendenza e purismo naif che sia fattibile e sostenibile nel tempo, e che solo il pragmatico buonsenso può escogitare. Dunque, diffidare di semplicistiche ricette accompagnate da pretese universalistiche, e individuare in quali frangenti della propria quotidianità il ricorso allo smartphone è inevitabile. Il discrimine tra fisiologia e patologia, uso e abuso, è sottile…e varia profondamente da persona a persona.

 
francesca garrisi
 

 

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