Se l'uomo è ciò che mangia, siamo roba da buttare?

Tra le mura domestiche si spreca più che in azienda. 
La produzione di rifiuti in Italia, secondo il presidio alimentare Slow food,  è al 43%  responsabilità del comune cittadinoIl cattivo consumo vale complessivamente 8, 4 miliardi di  euro l’anno. Circa lo 0,5 % del PIL.
 
 Gli sprechi casalinghi sono nella maggioranza dovuti a cibi scaduti o andati a male.  Ciò avviene perché non sappiamo distinguere tra la dicitura  “da consumarsi PREFERIBILMENTE entro” e la data di scadenza vera e propria. Una consuetudine assecondata soprattutto dalle case di distribuzione, che ritirano i prodotti in anticipo rispetto alla data reale di deperimento. 
 
Il caso Germania
Il ministro dell’alimentazione Christian Schmidt, vorrebbe porre fine a questa brutta abitudine anche in terra nordica. I cittadini tedeschi infatti non sono certo immuni dalla sindrome dello sprecone:  ottantadadue kg di alimenti l’anno per un valore di 235 euro a persona. Gli alimenti finiti nella spazzatura sono nella maggioranza frutta, verdura, pasta e pane
 
La soluzione di Schmidt prevede la totale eliminazione della data di scadenza, una sorta di spinta psicologica che spingerebbe la popolazione a comprare meno e consumare prima. «La maggior parte dei prodotti sono commestibili anche molto tempo dopo quel che si legge sulle confezioni. Gettiamo via un’enorme quantità di cibo solo perché i produttori hanno fissato margini di sicurezza troppo elevati » ha dichiarato il ministro ai giornali del gruppo mediatico Funke.
 
C’è un concetto da chiarire una volta per tutte: il termine minimo di conservazione non corrisponde alla reale data di scadenza . Quest’ultimo  indica piuttosto  il termine del periodo entro il quale, anche se il prodotto non è stato aperto  e risulta  opportunamente conservato, mantiene sapore, odore, colore, consistenza e valore nutrizionale. Ma non significa che non sia commestibili. Prodotti come zucchero e sale infatti non riportano il termine di conservazione. Il Ministero vuole perciò introdurre una data di scadenza che sia più  attendibile  e informi meglio il consumatore. 
 
l’Associazione dei commercianti alimentari tedeschi è contraria alla proposta di Schmidt e ritiene che le informazioni disponibili attualmente rappresentino, insieme alle indicazioni sulle corrette modalità di conservazione, un importante aiuto per i consumatori. O sono solo preoccupati di interrompere un meccanismo che consente loro di produrre più del necessario?
 
La politica Schmidt contro gli sprechi alimentari però non si arresta. Il Ministro sta anche pensando di applicare sulle confezioni di alcuni prodotti (come ad esempio lo yogurt) chip elettronici che indichino ai consumatori le modificazioni del prodotto attraverso una scala cromatica. Sono già stati investiti 10 milioni di euro per portare avanti il progetto e Schmidt confida che il suo ministero potrà presentare presto una proposta di modifica della normativa europea. 
 
E in Italia? 
 
«Le scadenze alimentari sono stabilite da norme comunitarie che stabiliscono due diciture: “Scade il” e “Da consumarsi preferibilmente entro» dice Simona Del Tesso, Consulente per i Sistemi di qualità e di Sicurezza alimentare. « La prima stabilisce la data entro la quale bisogna mangiare l’alimento perché oltre diventa potenzialmente pericoloso. Ma cerchiamo di usare i nostri sensi e soprattutto “il buon senso”.   Non butto via un pacco di spaghetti  scaduto prima di 3 giorni, o un prodotto prima di verificare il suo stato ». Per evitare di applicare misure terroristiche sul consumatore, che potrebbero sfociare in problematiche di altro tipo, sarebbe meglio creare campagne informative più corrette e trasparenti dalla base. Far acquistare consapevolezza e guidare il consumatore affinchè il cambiamento parta dal basso senza essere imposto dall’alto. 
 
 
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