Se lo Stato sembra mettercela tutta per ostacolare l’integrazione dei migranti…

ValleveEquilibrio e lungimiranza sono ingredienti fondamentali, quando bisogna gestire “l’incontro” tra culture diverse per evitare che si trasformi in scontro. Purtroppo però, le cronache ci hanno abituato a situazioni ai limiti dell’assurdo, laddove si è reso necessario gestire/smistare flussi migratori. Così, sono diventate ordinaria amministrazione le più disparate storture, dalle speculazioni delle cooperative impegnate nel settore, ai centri di “accoglienza” paragonabili a vere e proprie prigioni.
 
L’ultima macroscopica declinazione patologica della gestione del fenomeno arriva da Valleve, comune lombardo in provincia di Bergamo. Qui il rapporto tra rifugiati e residenti è, praticamente, pari a uno. I primi infatti sono 119, a fronte di 133 abitanti dichiarati. “Il prefetto mi aveva annunciato l’arrivo di 50-60 persone, ma poi il numero è incredibilmente raddoppiato”. Così Santo Cattaneo, sindaco del centro della Val Brembana.
 
Da fine maggio scorso i migranti sono stati raccolti presso l’Hotel San Simone, a circa 10 km da Valleve. D’inverno il comune attira numerosi turisti, grazie agli impianti sciistici di risalita, ma in questo periodo dell’anno l’area circostante è popolata unicamente da mucche. 
 
A gestire la permanenza in loco dei rifugiati è la cooperativa Ubuntu, che offre un servizio di navette per Bergamo tre volte la settimana, e che la domenica consente ai richiedenti asilo cristiani di assistere alla messa. Stanno inoltre per partire alcuni corsi, tra cui quello di italiano, pittura e riciclo. Tuttavia, i migranti vivono una condizione di sostanziale isolamento rispetto al (ridotto) tessuto sociale locale; peraltro, legittimamente, ci si chiede quanti di loro trarranno un beneficio concreto dalle lezioni a cui parteciperanno. 
 

“Uno squilibrio numerico che potrebbe ripercuotersi sulla vita delle persone”

ValleveA esprimere una certa preoccupazione è il sindaco Santo Cattaneo, sottolineando che l’ordinamento giuridico fissa dei limiti ben precisi in merito al rapporto tra persone accolte e popolazione. Nel caso specifico, le prime devono essere tre ogni 1.000 abitanti. 
“I migranti non creano alcun problema, in quanto scendono in paese solo per ricaricare il telefono o comprare le sigarette. Tuttavia, chi possiede qui una seconda casa teme di vederne scendere vertiginosamente il valore proprio a causa della presenza numericamente sbilanciata”. 
 
I rifugiati sono considerati, in modo neanche troppo dissimulato, un ostacolo per la futura riapertura degli impianti sciistici. Santo Cattaneo non ha problemi a dichiarare, senza troppi giri di parole, che se la comunità di migranti sarà a Valleve anche in inverno, in caso di nevicate eccessive, prestare loro soccorso non sarà di certo una priorità. 
 

“ Non siamo razzisti ma…”

L’adagio è ormai ben noto. A fronte di una premessa che vorrebbe rassicurare l’interlocutore sulla bontà e onestà delle proprie intenzioni, si esprimono considerazioni di un’ostilità e chiusura che rasentano la violenza. Nei mesi scorsi 98 cittadini di Valleve hanno firmato una lettera indirizzata alla prefettura; l’oggetto spiegava già tutto: “contrarietà all’accoglienza migranti”. 
 
ValleveCosì, se da un lato molti dei residenti sostengono di non voler discriminare gli stranieri, di fatto ripropongono quasi integralmente il repertorio tipico dell’elettorato leghista. Si esprime allarmismo sulle condizioni igienico sanitarie dei rifugiati, e al tempo stesso ci si lamenta del fatto che a loro venga destinata una migliore e più celere assistenza medica. Chi possiede un locale dichiara preventivamente che non intende dar loro da bere, e chi ha figlie, tanto per stare tranquillo, ammette che non concede più la libertà di un tempo. 
 
Fortunatamente, qualcuno si sottrae alla caccia alle streghe e riesce a cogliere il fulcro della questione. Ghettizzare non aiuta nessuno, già in condizioni di equilibrio numerico, figuriamoci in una situazione anomala come questa. Dunque, prioritario sarebbe cercare di dislocare altrove e diversamente la comunità di migranti; tuttavia, nell’attesa di farlo, sarebbe già importante provare ad avvicinarli alla popolazione locale. La conoscenza diretta è l’unico vaccino contro stereotipi e pregiudizi, e l’unico modo per spezzare il perverso circolo che alimenta la guerra “tra poveri”. 
 
 

 

 
 

 

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