Sanremo, il caro vecchio "panem et circenses"

Qualche giorno fa sono stata a teatro a vedere lo spettacolo di Pino Insegno C'era una volta...Signori e signore, buonasera.  Simpatico, bravo lui e piacevole e scorrevole lo show. Ciò che mi ha colpito è stato però l’argomento, una nostalgica ballata in onore della tv di Manzi, Troisi e Mastroianni, di Sordi e dell’intramontabile Carrà.  Si può avere il rimpianto di un’epoca che non si è vissuta? Si, se il presente vede il trionfo di reality , talent e Festival della canzone italiana.
 
La mia cultura sull’argomento si ferma alle prime edizioni di Amici, ovvero prima che arrivasse la malefica De Filippi, regina del sentimento trash. Per quanto riguarda i vincitori di Sanremo mi sono fermata agli Avion Travel, che conquistarono il primo posto nel lontano 2000. Non ho seguito volontariamente la kermesse ligure. Alla chiusura del sipario  però  ho voluto leggere pareri di persone con un po’ più d’esperienza e che gli anni d’oro della tv italiana li hanno vissuti davvero. Nel mare magnum di articoli, mi ha colpito l’editoriale di Vittorio Feltri, che ha definito la gara “l’evoluzione delle vecchie sagre”. Giovenale la sapeva lunga: il vecchio panem et circenses non sbaglia un colpo. 
 
La pista e i suoi trapezisti li abbiamo sicuramente. Sanremo ha in fondo,  lo stesso valore della maggior parte dell’entertainment attuale:  lo svago, il turn off del cervello, l’utente occupato a pensare a quante lampade si è fatto Conti  o a indovinare l’identità sessuale di Garko. Anche chi lo critica, alla fine c’è dentro fino al collo. E non escludo che, come fu con il Bastard chef di Crozza, con i cosidetti hater  ci sia un accordo commerciale. 
 
La salsa è sempre quella: cantanti che parlano di buoni sentimenti, amore, famiglia, ingredienti che ritroviamo anche nelle nostre fiction. Niente in contrario, ma il trionfo del pop ha il retrogusto amaro di chi non si spinge o non vuole parlare o sentire altro. Legittimamente (?), il pubblico è stanco di spread, uteri in affitto, diritti gay, politica nazionale e internazionale. O forse solo stufo  di provare  impotenza di fronte a meccanismi che sembrano sempre più grandi e inafferabili di lui. Allora via nel rifugio delle belle parole e delle storie individuali, nella comodità della tradizione, perché “Sanremo non può non essere visto”.
Risultato? Un’ insalata russa  che gira attorno al suscitare emozioni dimenticate, dalla prima cotta alle pene d’amore, topic assolutamente trasversale e in linea con le canzoni vincitrici. Ricetta adeguatamente mantecata con qualche tocco di temi sociali, da Ezio Bosso, pianista affetto da Sla e Micole Orlando, atleta paraolimpica vincitrice di quattro medaglie. Nonostante la forza indiscussa di queste personalità, si avvertiva un vago odore di ipocrisia nell’aria. Applausi da commozione del momento, di chi poi, durante la giornata contro la sclerosi multipla, vede i ragazzi che vendono mele e cambia strada.
 
 Non voglio essere crudele né disfattista, in fondo “sono solo canzonette”. Ma a volte ho la sensazione che la società si specchi e si culli in questo stato di trance. Sarà davvero che,  dall’Impero romano, non siamo andati molto avanti?
 
 
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