I pedofili invadono i social. «Mamma non mettermi su Facebook».

I predatori sessuali sono come lupi. 
Il cibo di cui vanno ghiotti è l’innocenza dell’infanzia. L’odore di carne fresca – metaforicamente e non – li fa impazzire. O meglio, questo alibi, che fa acqua da tutte le parti, è il paravento dietro cui amano nascondersi. 
I social sono una sorta di albero della cuccagna. L’inesauribile miniera di potenziali giocattoli sessuali in cui poter grufolare indisturbati, nella (quasi) totale impunità. E l’aspetto più drammatico della faccenda è che spesso i loro primi, inconsapevoli, spacciatori/fornitori sono i genitori di bambini e pre-adolescenti. 
 
Come direbbe qualcuno, le cose peggiori sono quelle fatte con le migliori intenzioni. 
Ciò che finora poteva essere bollato come l’allarmismo d’ordinanza propagato dai detrattori della Rete, adesso è suffragato da molteplici dati. 
Uno studio dell’Australia’s new Children eSafety, organismo che vigila sulla sicurezza dei minori, ha infatti esaminato dettagliatamente le foto sequestrate ai pedofili che “viaggiano” in Rete. 
Da qui, è emerso che la stragrande maggioranza di esse provenivano dai profili Facebook e Twitter dei genitori delle “prede”.
 
 
Il 50% degli scatti ritraeva bambini impegnati in attività assolutamente ordinarie e "neutrali", come fare sport, o stare al mare. 
Peraltro, quest’ultima tipologia alimenta una sezione molto gettonata dai predatori sessuali che bazzicano siti di settore. Quella intitolata “ragazzi in spiaggia”
«Molti utenti dicono chiaramente di aver preso tali contenuti trafugandoli da un profilo nei social, e spesso si scambiano l'indirizzo mail con il proposito di ricontattarsi in altra sede per vendere il materiale». 
Così uno dei membri dell’organismo australiano. Un investigatore suo collaboratore ha poi aggiunto dettagli particolarmente inquietanti. “Le amichette di mia figlia su Instagram” sarebbe tra le etichette più utilizzate all’interno dei siti pedopornografici.
 
 
«Una volta che hai condiviso una foto su Facebook, hai perso il controllo sul suo destino».  
L’Australia’s new Children eSafety non usa mezzi termini per riassumere i risultati del suo report. Eppure, c’è qualcosa che possono fare, i genitori fan(atici) dei social, per mettere i propri figli al riparo degli sciacalli 2.0. 
Tanto per cominciare, prendersi del tempo per “studiare” le impostazioni dei loro profili, così da sfruttare tutti gli strumenti di privacy disponibili. 
E, auspicabilmente, interrogarsi, almeno ogni tanto, sull’effettiva necessità/utilità di dare in pasto a un popolo di invisibili la foto della propria figlia undicenne con indosso il tutù. Non sarebbe meglio per tutti condividere l’immagine di quel momento solo con chi può realmente capire – e fare propria – la pura gioia degli occhi della piccola, nonché il suo legittimo diritto a godere appieno dell’età dell’innocenza?
 
Franziska
 

 

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