I miei genitori hanno venduto casa per andare a vivere in barca. E sono felici

Downshifting, la riduzione volontaria del lavoro 

«È stata una scelta che mi ha sorpreso. Ero in Australia quando l’ho saputo, i miei genitori mi hanno chiamato e mi hanno detto “vendiamo casa”. Non me l’aspettavo!». 

Così Silvia Sola, classe 1991, commenta la scelta della sua famiglia di lasciare il lavoro e l’amata Bologna per andare a vivere in barca.

Il downshifting, in italiano “semplicità volontaria”, è una pratica che sta prendendo sempre più piede in una società stressata e soffocata dall’ossessione per la carriera, in cui il denaro guadagnato non basta mai perché bisogna inseguire sempre nuovi obiettivi, raggiungere sempre nuovi traguardi, trascurando famiglia, sentimenti e passioni.

Vivere in barca

Soprattutto causa pandemia di Covid-19, tanta gente ha dato priorità a una vita meno ricca materialmente optando per un'esistenza all'insegna di un maggiore benessere mentale e un rapporto più ravvicinato con la natura.

Crescono di anno in anno, infatti, i professionisti che scelgono di ridurre volontariamente le proprie ore di lavoro, e quindi di guadagnare di meno, per avere più tempo libero da dedicare a se stessi e alle persone care.

Così Antonella e Stefano Sola hanno detto basta. Lei, insegnante in una scuola elementare, ha preso un anno di aspettativa dal lavoro; lui si è licenziato dall’azienda in cui lavorava. 

Nel luglio 2014 hanno venduto la casa e l’automobile e sono andati a vivere in barca, portando con sé solo lo stretto indispensabile.

Da allora viaggiano per il Mediterraneo a bordo della loro Cautha16, dotata di pannelli solari e di un impianto eolico, fermandosi di porto in porto per conoscere nuove persone e per riscoprire il piacere dell’avventura. E raccontano la loro esperienza in un blog

Dal blog al libro di Silvia

La passione per il mare Antonella e Stefano l’hanno trasmessa a Silvia, la loro figlia maggiore, che a 19 anni ha lasciato la casa e la famiglia per fare la guida subacquea in giro per il mondo.

Ma Silvia ha anche un’altra grande passione, la scrittura, che, come ci ha raccontato, l’ha spinta a “buttar giù idee su carta” per raccontare la storia della sua famiglia dal suo punto di vista, le sue emozioni quando ha saputo della scelta dei suoi genitori. Così è nato il libro “La mia casa è partita in barca”, pubblicato da Edizioni Il Frangente.

«Non vivo in barca con i miei genitori perché viaggio molto per lavoro – ha spiegato Silvia – ma li ho sempre appoggiati, hanno fatto una scelta di vita che rispetto e che li ha resi più felici. All’inizio ero dubbiosa su come una barca si sarebbe trasformata in una vera e propria casa, ma poi ho capito che c’è sempre un posto a cui posso fare ritorno, anche se non è una casa nel senso convenzionale. È vero, gli spazi sono diversi, ma sono sicura che se voglio tornare a trovare i miei genitori so dove trovarli».

C’è qualcosa che rimpiangi della vita sulla terraferma?

«No – ha risposto Silvia – finalmente posso godermi i miei genitori perché hanno più tempo per la nostra famiglia, non avendo più vincoli lavorativi, né di altro tipo. Molti mi chiedono “ma cosa fanno tutto il giorno? Non si annoiano?”. In realtà il porto dove stanno è una specie di comunità, e poi se non si lavora si può dare spazio alle proprie passioni, che è una cosa molto importante».

E il futuro non fa paura. 

 

di Rosa Cambara

 

 

 

 

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