Facebook, dacci oggi il nostro ego quotidiano

Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale o contraria.
Se Newton fosse vissuto nell’era dei social network chissà se la terza legge della dinamica avrebbe suonato allo stesso modo. Nel regno di Zuckerberg le "reazioni" o non ci sono, oppure sono assolutamente virtuali. E, proprio secondo questo principio, cuoricini, smile e like hanno finito per chiamarsi reactions, alimentando maggiormente l’illusione di influire concretamente su qualcosa. Un mi piace, la condivisione di un post non hanno corrispondenza con ciò che pensiamo o che diciamo tutti i giorni. Gli hater e gli inclini alla filippica da social sono in realtà docili come agnellini. Così come chi è meno presente sulle piattaforme web al 90% ha una vita più attiva rispetto a coloro a cui piace tanto sputare sentenze o a chi ha il tempo di aggiornarci su orari di pranzo e cena.
 
Lo chiamano slacktivism, ovvero attivismo da tastiera. Lo spunto di riflessione è partito dall'indagine realizzata dalla Johns Hopkins University di Washington, che ha analizzato l’efficacia delle raccolte fondi sui social. L’obiettivo era verificare se le adesioni ad alcune iniziative di carattere politico o solidale fatte online si tramutassero poi in un impegno concreto a livello economico e non. Da un campione di 3500 promesse di versamento e partecipazione a organizzazioni note, come la Croce Rossa  e la Best Friends Animal Society, solo il 64% è andata a buon fine. Il 13% del campione ha ridimensionato la propria offerta una volta effettuata la donazione mentre il 16% l'ha annullata. E questo era il caso migliore.
 
Postare bene e razzolare male insomma. Facebook è uguale al capannone degli specchi deformanti: una vetrina che ci aiuta a ricordare quanto siamo bravi a esprimere le nostre opinioni, beandoci delle nostre stesse masturbazioni mentali. Io farei un enorme applauso a Zuckerberg solo per aver capito, molto più di miliardi di studiosi, i meccanismi psicologici dell’ego. I  post li scriviamo per noi, mica per informare la nostra rete sociale. Per vedere quanti mi piace ci arrivano, per sentirci importanti, dialogatori, attivi, partecipi. Poco importa se poi le nostre prediche non hanno corrispondenza con il pulpito dal quale provengono. 
 
Insomma il meccanismo che ci sta dietro, per quanto il colosso di Silicon Valley esista da poco meno di 12 anni, fa leva sul desiderio più vecchio del mondo. Sentirsi inclusi, lusingati, leader. Attenzione però. Più siete bravi a digitare e più diminuisce la vostra capacità di affrontare il mondo. Quello vero. 
 
 
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