Io, italiana di Aleppo, racconto in un blog la mia terra martoriata

«Potrei paragonare la mia vita a un ponte, teso, intento a collegare due sponde: la Siria, mia terra d’origine e l’Italia, mia patria adottiva».

Asmae-1«Potrei paragonarla anche ad un arco: anch’esso teso, con le sue estremità che si uniscono solo se flesse; nel suo essere curvo diventa uno strumento utile, capace di far arrivare lontano le sue frecce. In questa tensione nasce il mio essere giornalista: a cavallo tra due mondi, intenta ad ascoltare, osservare, indagare due mondi e raccontarli».

Cosa significa sentire scorrere nelle proprie vene due diverse identità? Crescere in un luogo ma avvertire dentro  di sè il richiamo delle radici? Asmae Dachan, collaboratrice di diverse testate (tra cui Panorama o The Post Internazionale) e autrice del blog Diario di Siria, nasce ad Ancona da genitori di Aleppo. La Aleppo martoriata, la Aleppo del dolore, dei bombardamenti, della paura. Ma anche la Aleppo culla della civiltà, della bet min (famiglia), della musica mistica, della poesia, del sapone all’alloro e delle essenze di rosa, dei tramonti mozzafiato.

Non sempre è facile vivere  a cavallo tra due mondi. Devi capire qual è il confine di appartenenza e, di conseguenza, di responsabilità verso entrambi. Crescere in Italia e avere sangue arabo arricchisce e apre orizzonti nuovi, ma richiede umiltà, capacità di mediare, di comunicare con onestà intellettuale, critica ma soprattutto autocritica.

Il blog come luogo dell'anima

Spesso si accusano i giornalisti di avere uno sguardo impersonale sulle vicende che descrivono. Ma non sempre è indice di poco Asmae-2coinvolgimento. Nel caso di Asmae l'oggettività è stata frequentemente arma di difesa dal dolore. «Sono riuscita, non senza difficoltà, a mantenere una dignità professionale che spesso ha sacrificato il coinvolgimento emotivo in nome della verità. Come se la giornalista e la donna a volte si scindessero e l’una permettesse all’altra di lavorare senza troppa enfasi. Raccontare una guerra non è mai facile, ma quando i morti hanno nomi che ti sono familiari e i luoghi devastati sono scritti nel tuo DNA, lo sforzo è senza dubbio immane».

Ha scritto così Asmae, qualche tempo fa, in un pezzo-confessione che lei stessa ha definito una sorta di testamento morale e professionale. Il vantaggio del blog, rispetto a un quotidiano, è proprio dare spazio a una pluralità di linguaggi, avere modo e tempo per descrivere emozioni e sentimenti, liberare il lato più intimo della scrittura che non sempre emerge dall'informazione giornaliera. Lato lettore, regala uno sguardo privilegiato, un punto ravvicinato di osservazione sul non detto, un volto a chi troppo spesso è solo un numero. Proprio per questo, Diario di Siria, si fa luogo dell'anima. Anche il sottotitolo del blog d'altronde è indicativo: “ Scrivere per riscoprire il valore della vita umana”.

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Asmae3Asmae, ai microfoni di Radio radicale, ha descritto la passione per la vita umana come qualità fondamentale di un giornalista. «Grazie al premio che ho ricevuto ad Otranto (premio Giuria "Giornalisti del Mediterraneo") ho avuto la possibilità di incontrare tanti colleghi che posseggono questa passione. Senza non potremo fare il nostro lavoro. Il nostro ruolo riguarda raccontare anche verità scomode, come violazioni di legalità e diritti umani».

E ci ricorda che, anche esprimere liberamente la propria opinione, è un privilegio. In Italia la professione giornalistica è ancora tutelata e garantita. In Paesi come la Turchia non solo stanno chiudendo tantissime redazioni ma le voci fuori dal coro devono "sussurrare" per evitare la prigione.

Mi sembra significativo chiudere con queste parole, che esprimono quanto sia difficile a volte, la testimonianza. Quanto questa guerra, nel cuore di chi appartiene al popolo siriano, non significhi affatto immagini oggettivizzate da uno schermo. 

«Ho imparato sulla mia pelle che quando racconti la tua guerra puoi essere forte quanto vuoi o sforzarti a lungo di esserlo, ma esiste un momento della narrazione e un momento dell’immobilità, perché anche il cuore sembra fermarsi e rifiutarsi di battere ancora. Essere di Aleppo oggi significa provare nel proprio io violato il dolore di tutti gli altri popoli che hanno subito una simile violenza. Significa chiedersi che significato abbiano oggi la politica e la diplomazia. Significa guardarsi allo specchio e domandarsi cosa voglia dire davvero restare umani».

di Irene Caltabiano

 

 
 
 

 

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