La Start Up

Code wallet: mai più un portafogli rubato

Ciascuno di noi avrà provato, almeno una volta nella vita, l'antipatica esperienza del furto del portafogli. Che noia bloccare carte, rifare documenti ma soprattutto….perdere soldi!
 
La soluzione arriva dall’ America e si chiama Code Wallet. Banconote, carte di credito, patente saranno finalmente al sicuro; il portafogli dispone infatti di un codice a tre cifre, che, una volta impostato, consente l’accesso solo al legittimo proprietario. 
 
«Oggi ogni cosa è criptata: telefono, tablet, wi-fi, valigia. L’unico oggetto che, incredibilmente, risulta facile da rubare, è quello che contiene i nostri dati più importanti» dice Benoit, capo di produzione.
 
 Le combinazioni sono più di mille . Code Wallet è dotato di un sistema di tracciamento, per cui il portafogli verrà geolocalizzato anche nel caso in cui venga rubato. Dal design accattivante, con ampio spazio per banconote e carte, disponibile in tre colori, ma  soprattutto, a prova di ladro. 
 
Better safe than sorry, come recita lo slogan. 
 
Scopri come funzione Code Wallet... GUARDA IL VIDEO >>
 

 
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Fiat Lux: l'arte orafa da Crotone agli Stati Uniti

Tradizione -innovazione è un binomio vincente.
Ma il vero salto in avanti sta nel riuscire ad avere il coraggio di oltrepassare le barriere del vecchio per approdare al nuovo. Giorgio Isabella, giovane calabrese, ha visto nella gioielleria di famiglia non una semplice eredità, ma un punto di partenza per qualcosa di più grande. L’arte orafa è una realtà ben radicata in Italia; le piccole botteghe sono numerose ma nell’era del digitale spesso non hanno la  visibilità che meritano. Isabella ha così creato Lux Made In, una piccola Amazon dedicata al settore dei gioielli, che consente agli artigiani di farsi strada sul web. 
 
Il successo dell'impresa di Giorgio non è stato immediato: «Ero già nel settore del marketing all’epoca, dal 2005 al 2009 ho lavorato per varie multinazionali che mi hanno fatto apprendere tanto, anzi tantissimo. Finito quel periodo sono poi tornato a Crotone, ma ben presto nel 2011 sono riapprodato a Roma per frequentare un master, e lì la mia vita è davvero cambiata». La svolta decisiva è avvenuta grazie all’incontro con Filippo Capitanio, col quale si è creato subito un certo feeling. Giorgio decide così di incentrare la propria tesi sullo sviluppo di una startup che sarà poi il trampolino di lancio per le loro carriere.
 
Quei gioielli social 
Facebook è stato fondamentale per creare una rete di artigiani e piccole realtà italiane. Il social gli ha infatti permesso di essere notati dalla nota marca Damiani, entrando così in una dimensione internazionale. Dalla costola di Lux Made In nasce poi Food Made In, start-up che ha avuto grande riscontro all’Expo. La piattaforma, che garantisce lo scambio di prodotti agroalimentari, ha aperto le porte  alla Ferrero, che ha reso Isabella e Capitanio il loro punto d riferimento digital. 
 
Non si sa quale piattaforma abbia ispirato l’altra, ma cibo e gioielli cominiciano ad andare di pari passo. Isabella  approda infatti al progetto Gioielli Dop, realizzazioni di arte orafa che richiamano il settore agroalimentare italiano.  « Ho partecipato al bando Distretti nel web e sono stato scelto fra 20 digitalizzatori, i quali dovevano sviluppare la presenza on-line delle imprese nei vari distretti. Ho vissuto sei mesi ad Arezzo, che costituisce il bacino italiano più numeroso per le imprese orafe, e lì ho iniziato a ragionare sui Gioielli Dop, cioè su delle manifatture che nascessero con quella stessa cura, e fossero sostenute da tutta la mia esperienza digitale».
 
Isabella dichiara di aver voluto puntare sull’effetto nostalgia delle generazioni emigrate dalla propria terra d’origine verso altre lande. Così, visto che ciò  che caratterizza  gli italiani è di frequente l’arte culinaria, sono stati creati gioielli ad hoc, da quelli a forma di peperoncino a quelli simili ai taralli pugliesi tutti fatti a mano. Una volta realizzati dalle mani di sapienti artigiani, diventano potenzialmente esportabili in tutto il mondo.
 
I Gioielli DOP hanno già conquistato Dallas, Houston, San Antonio.  Di generazione in generazione, l’artigianato continua a portare nel mondo l’eccellenza italiana. 
 
 
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Si fa presto a dire start-up

Se si parla di start-up si pensa subito a qualcosa di innovativo, super tecnologico, assolutamente presente sul web.
Il termine inglese, negli ultimi tempi, si sente riecheggiare spesso per le lande italiche. Ma start-up non è sinonimo di tecnologia e la ricerca di Instilla, azienda che si occupa di digital marketing, lo conferma. «Lavorando come consulente a qualche start-up abbiamo creato un piccolo pacchetto di cose da poter fare per ottimizzare il lato SEO dei siti. Abbiamo pensato di andare direttamente sul registro delle imprese, scaricare i dati pubblici sulle aziende iscritte e ci siamo accorti che qualcosa non andava» dice Paolo Meola, ventott’anni, amministratore delegato dell’azienda. 
 
I documenti parlano: le aziende iscritte al Registro delle start-up innovative non hanno nulla o comunque poco a che fare con il digitale. Le neo imprese sono circa 5000; di queste solo 2998 ha dichiarato di avere un sito Internet ( 58%). Ne mancano all’appello 2000 che, a giudicare dalle ricerche sul web, potrebbero tranquillamente non esistere. Inoltre tre siti su dieci, tra quelli esistenti, non funzionano (27.7%).Il 55.9% non performa, il 41% è  in costruzione, il 5% ha addirittura il dominio in vendita. In conclusione, meno di una startup su cinque ha un sito completamente attivo e dal design adeguato. Mille start-up su cinquemila.
 
«L’intento della ricerca non era denigrare il lavoro altrui» afferma Meola. Per trovare i primi clienti un'analisi del genere era quasi obbligatoria. Così,insieme ai soci Andrea D’agostini e Filippo Bernasconi, il CEO di Instilla ha verificato che il lavoro c’è e non è neanche poco. Uno dei requisiti fondamentali per essere definiti startup è avere come oggetto sociale prodotti e servizi ad alto livello tecnologico. Se non si hanno nemmeno le basi è difficile resistere a lungo. 
 
La mancanza di digitalizzazione peraltro riguarda anche l’essere mobile responsive: risulta che solo tre siti su dieci sono ottimizzati su cellulare (11%).Le cifre riguardano solo le startup iscritte al Registro delle Startup Innovative; se si andasse a guardare il panorama completo i dati sarebbero ancora più schiaccianti. Inutile dire che oggigiorno la presenza online ha lo stesso valore di un biglietto da visita. Non si può sperare di raggiungere certi numeri se navigando su Internet nessuno sa chi sei. 
 
 
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