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Dai biglietti nascono i fior

Matrimonio green?  Cominciamo dalle partecipazioni! 
 
Nonostante le svariate possibilità che il web offre, consegnare inviti a mano risulta sempre più  significativo di spedire immagini preconfezionate via mail. Soprattutto se ciò significa  rispettare l’ ambiente senza lasciare cartoncini e buste a vita nella scatola di ricordi.
 
Avete mai pensato che dai vostri biglietti potessero nascere margherite  e papaveri? L’iniziativa si chiama Se mi ami mi pianti. Il nome non è esattamente di buon auspicio per la neo-coppia ma l’intuizione di Biancosposi, azienda specializzata nel settore, è deliziosa (anche metaforicamente parlando). Le partecipazioni sono realizzate con fogli riciclati e al  loro interno hanno inserti e fascette in carta-semi, materiale che contiene impasto di fiori di campo. Il cartoncino potrà dunque essere piantato in vaso e nel giro di poche settimane spunteranno colorate primule, margherite e campanule. Prezzi? Piuttosto modici: ogni partecipazione costa 2, 80 euro.
 
La linea verrà presto arricchita  da altri prodotti dedicati al lieto evento: album di foto, quaderni, accessori, che potranno a loro volta “sbocciare”. La grafica  è curata da Ilenia Porcu e gli articoli vengono stampati su carta crush, al 100% eco-friendly,  realizzata utilizzando scarti industriali e paglia  ottenuta da macinazione di avanzi di lavorazione. Unico additivo? Il colore. Il risultato sono fogli dalla superficie irregolare, con imperfezioni cromatiche che li rendono immediatamente riconoscibili. 
 
Ultima chicca? La carta ecologica è legata a un progetto di commercio equo e solidale per proteggere gli elefanti dello Sri Lanka. 
 
È proprio il caso di dire che se son rose fioriranno, e lo faranno solo con cura e amore quotidiani. Come ogni matrimonio.
 
 
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Carbonara e panini killer

I carbofobi,  individui terrorizzati dai carboidrati.
Una volta era il fritto , ora sono  pane e pasta gli attentatori della nostra linea. Ultimamente  sembra esista un vero e proprio terrorismo nei confronti di determinati gruppi alimentari. La guerra a farinacei  e simili sarebbe inefficace non solo ai fini di una nutrizione sana e corretta, ma anche di un dimagrimento reale. 
 
I fanatici della forma fisica stanno degenerando verso diete fatte di privazioni e fissazioni. 
Eliminare carboidrati dalla propria dieta non solo  comporta limitare apporto energico al corpo, ma anche frustrazione da desiderio di un vassoio di dolci o di un fumante piatto di spaghetti. Oltre ottanta ricerche svolte su 500mila persone hanno dimostrato che i grassi saturi non aumenterebbero il rischio di malattie cardiovascolari, né risulterebbero particolarmente dannosi per l’organismo.
 
La ricerca della perfezione diventa una sorta di  droga dalla quale l’assuefatto non può disintossicarsi. 
La sostanza da cui i carbofobi sono dipendenti è il cibo puro, cioè scondito, leggero e senza grassi, tanto da portare a malnutrizione, malattie croniche e depressione.
 
I soggetti maggiormente colpiti dalla nuova patologia sono i trentenni in carriera. Non si tratta di un disturbo, paragonabile in termini di gravità, a bulimia e anoressia, ma a lungo termine  può provocare danni come ictus, diabete e attacchi cardiaci. Inoltre è più difficile da individuare rispetto alle più note patologie legate all’alimentazione. Il desiderio di esser sani passa dall’evitare cibo spazzatura fino a sfociare nella paura di alimenti necessari come latticini e derivati del grano.
 
Si deve inoltre fare distinzione in carboidrati semplici e complessi. I primi si trovano in  frutta e verdura, i secondi in pane, riso, patate e tutti i lavorati come farina bianca, biscotti e torte. Un annuncio a tutti i golosi: non è necessario eliminare completamente tali leccornie ma è sufficiente limitarle. 
 
La patologia è stata oggetto di studio della conferenza Food Science & Food Ingredients: the need for reliable scientific approaches and correct communication, svoltasi a Firenze pochi mesi fa. Da qui è emerso il bisogno di studi più idonei in campo nutrizionale. La ricerca dovrebbe infatti focalizzarsi su modelli sperimentali meno ovvi, considerando anche aspetti psicologici, culturali e sociali del cibo.
 
Amanti del fitness, d’accordo dieta e attenzione a ciò che si mangia. Ma non incorrete in trappole che rischiano di farvi perdere molto più che qualche centimetro di pancia.
 
 
 
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Diventare swapper? Perchè no!

I bimbi crescono , le mamme imbiancano…e il guardaroba dei pargoli deve essere continuamente rinnovato.  Che fare con gli abiti acquistati adesso e che tra qualche mese non potranno più indossare? Esiste lo swapping, letteralmente scambio,  baratto. La pratica, partita dalla Grande Mela, è in gran voga in Italia già da un paio d’anni e associazioni come Armadio verde consentono di non abbandonare tutine e magliette a far la muffa nei cassetti.  

L’idea nasce nel 2011  da  Eleonora Dellera  e David Erba, due genitori che, di fronte all’accumulo di vestiti praticamente nuovi,  hanno pensato di ovviare a questo spreco. Chi non può permettersi abiti di marca spesso tende a rinunciare alla qualità e acquista capi di brand più economici. L’associazione green ha trovato una soluzione: un club di mamme che   fa compravendita in modo originale e economico. Come?  Lo shopping si fa direttamente da casa, così si inquina meno e  si ricicla di più. E soprattutto non si spende nulla.

Quali sono i criteri dello swapping? I genitori si iscrivono al sito ufficiale e spediscono roba che i figli non utilizzano più. Una volta ricevuti i vestiti , Armadio verde analizza la qualità dei capi. La merce ha valore  in stelline, non in denaro, e più se ne accumulano più potrai barattare! Si paga solo l’iscrizione  on line , cinque euro per utente.

 Attualmente l’associazione  può contare su  ben oltre 2000 vestiti  al mese, tra il 2014 e il 2015 si sono attivati 25.000 scambi e l’azienda include oggi circa 1500 mamme swapper, tra i venticinque e i quarantacinque anni. Photo libro Ansa 2014 la considera una delle miglior start up nel campo, infatti sta per essere   capitalizzata da Starter, importante acceleratore d’impresa. C’è in ballo anche un progetto di internazionalizzazione, che permette di consegnare e ritirare buste di vestitini anche a mamme residenti all’estero. L’iniziativa è in fase di test e si continuano a raccogliere dati  per capire meglio le preferenze delle clienti e creare network a misura europea.

I vestiti che, per qualche difetto, non superano il controllo qualità vengono donati. Armadio verde sostiene infatti  AuBi, organizzazione non governativa attiva in tutto il mondo, che  combatte l’abbandono minorile con adozione, affido e sostegno a distanza.

 Carlo Moro, uno dei fondatori  della società, afferma: «maggiori saranno le mamme, ma anche i papà, che si iscriveranno a  Armadio verde, maggiore  sarà l'opportunità per ciascuno di loro di soddisfare le proprie esigenze e necessità  e, cosa più importante, vedere la spesa sostenuta riprendere un concreto valore di scambio».

Irene Caltabiano 

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