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Il lavoro scarseggia? L’imbianchino diventa 2.0 e la Rete impazzisce

La crisi ha sempre due facce. 

Imbianchino_2.0

La prima, più immediata da cogliere, è negativa, in quanto collegata alla “morte”, al superamento di qualcosa. Insomma, alla fine di una “stagione”. 
L’altra, di solito, si manifesta più lentamente, e necessita della preventiva accettazione della “fine” di ciò che è stato. Solo così, infatti, si può preparare il futuro e fargli spazio. Emblematica in questo senso è la storia di Diego Mulfari, che ha “preso sulle spalle” l’azienda edile del padre, rimettendola in piedi. 
 

E il nome scelto per battezzare questa “metamorfosi” è stato Imbianchino 2.0.

 
Così, Diego si propone di dare vita a un progetto differente da tutto quello che aveva fatto in precedenza. 
 

 

 

L’idea, semplice ma immediata ed efficace.

Lui infatti si era accorto che il web era pieno di forum di settore, ma offriva pochissimo, in termini di testimonianze e recensioni dei consumatori.

«Raccontiamo i lavori da noi eseguiti, attraverso post corredati da fotografie. Utilizziamo poi i social media per ottenere referenze dai nostri clienti e renderci dunque affidabili agli occhi dei nuovi potenziali contatti. Abbiamo sviluppato anche un'applicazione scaricabile sui cellulari chiamata ironicamente I-Imbianchino, con prezzi a mq dei nostri lavori e idee per decorare la propria casa».
 
Al di là delle facili battute, Imbianchino 2.0 è una sorta di cantiere sempre aperto. Per restare al passo dei ritmi concitati della Rete è necessario innovare, perfezionare, continuamente. In una parola, non sentirsi arrivati. 
«Il mio piano è in continua concretizzazione, ma dopo tre anni posso dirti che i primi buoni risultati cominciano ad arrivare».
 
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Il denaro è superato. Le banche oggi investono sul tempo

In tempi di crisi la risposta più naturale e immediata è il ritorno alle origini. Quanti di noi sono cresciuti sentendo ripetere questo antico “adagio” dalle proprie nonne? Molti, e a ben vedere l’andamento dell’economia negli ultimi anni, non si può che dare loro ragione. Così, al declino – per certi versi inarrestabile – delle banche tradizionali, fondate sul denaro, fa da contrappunto l’emergere di quelle fondate … sul tempo. 
Avete capito bene, le Banche del Tempo. La prima in assoluto è nata 23 anni fa, a Parma.
 
Ma cosa sono, vi starete chiedendo? Si tratta di organizzazioni basate sullo scambio e condivisione di beni “immateriali” (competenze, attività …). Insomma, gruppi nati dall’associazione volontaria e spontanea di persone che mettono a disposizioni i propri saperi e abilità per dare e ottenere supporto. Un modo per recuperare e ri-attualizzare le prassi tipiche del buon vicinato, estese, in questo caso, anche a perfetti sconosciuti. Reciprocità, bilateralità e differimento nel tempo sono i punti di forza.
 
Le BdT si “nutrono” quindi di transazioni ma, a differenza di quelle old style, non c’è il rischio di maturare interessi passivi. L’importante è avere i conti “in equilibrio”.
 
 

Come aderire?

C’è qualcosa che sai o ami fare, anche se a livello dilettantistico? Hai “semplicemente” del tempo libero? Non hai bisogno di nient’altro. È sufficiente andare in una BdT della tua città e iscriverti. Così diventi correntista ed entri in contatto di chi ha bisogno proprio di te. Sei laureato in matematica? Puoi dare ripetizioni al figlio di un altro correntista. E la Banca si occuperà di soddisfare il credito maturato incrociando la tua “domanda” con l’offerta degli altri partecipanti. 
 
Sei incuriosito? Scopri dov’è la BdT più vicina a te, e inizia a contribuire … buon divertimento!
 
 

 

 
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Blake Mycoskie: «l’economia può essere buona. Ora vi spiego perchè»

Cinico, spregiudicato e schifosamente materialista. Questa è l’identikit dell’imprenditore “pompato” dai media, e inevitabilmente scolpito nell’immaginario collettivo. Come spesso succede però, la realtà è molto più varia e ricca, e basta scavare un po’ per scoprire storie interessanti e, perché no, emozionanti. Storie che non t’aspetti. Oggi raccontiamo quella di Blake Mycoskie, brillante start upper texano under 40 che nove anni fa ha creato Toms, azienda di calzature improntata al pro-business. Compra un paio di scarpe e un altro verrà donato a un bambino che vive in un Paese povero: questo il suo motto, che l’ha resa leader e apripista della formula one for one, attualmente diffusa a macchia d’olio.
 
«Mi piace usare la definizione di imprenditore sociale. Io in passato sono stato un imprenditore puro, ho fondato cinque società. Ma quando ho fondato Toms, lo scopo è stato di tipo sociale, non solo per fare profitto. Abbiamo guardato la Triple Bottom Line, ossia il profitto, la gente e il pianeta, e mi sono identificato davvero molto con la figura di un imprenditore che usa il business per migliorare la vita, non solo per il profitto». Si presenta così Blake Mycoskie. Essere visionario ha pagato: attualmente infatti dà lavoro a 500 persone.
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Ovviamente, all’inizio non è stato tutto rose e fiori, anzi. Nei primissimi tempi la produzione delle scarpe ha messo tutti a dura prova. «Abbiamo avuto molti problemi a realizzarle, farle calzare bene e consegnarle in tempo. È stata una lotta perché c’era moltissima richiesta e non riuscivamo ad andare più veloci. Abbiamo buttato un sacco di soldi per scarpe che all’inizio non calzavano bene». Oggi però sono 35 milioni le scarpe donate in tutta il mondo (Argentina, Etiopia, Guatemala, Haiti, Rwanda, Sudafrica e Stati Uniti). 
 
«Il momento migliore è sempre nei viaggi per raggiungere i bambini, quando vediamo la differenza che crea nelle loro vite, quando ascoltiamo le storie delle loro famiglie, dei partner delle Ong con cui lavoriamo. È questo che ci motiva ad continuare nelle cose che facciamo». Un mondo fatto di imprenditori appassionati e generosi come Blake Mycoskie sarebbe sicuramente un mondo migliore.
 

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