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I racconti di chi ha cambiato vita ✌

Roberta Fiorino: perché è l’unica italiana ammessa al Max Planck Institute

Diventare adulti significa scegliere in che direzione andare

Decidere cosa merita di essere sviluppato, negli affetti ed in ambito professionale. Il costante fluire della vita mette alla prova relazioni ed amicizie, obbligandoci a individuare cosa è davvero importante, investendo di conseguenza tempo ed energie che, purtroppo, non sono infinite.

Così, anche chi ha la fortuna di avere molteplici hobby/talenti coltivati per anni con profitto, ad un certo punto si trova difronte ad un bivio. Costretto a decidere a cosa dedicarsi, cosa provare a trasformare in lavoro, e quindi, in fonte di realizzazione ed indipendenza economica.

Roberta-Fiorino-Max-Planck-InstituteÈ una strettoia, questa, che – comprensibilmente – fa paura a molti, ma trovare il coraggio di concedersi la possibilità di sbagliare e correggersi in corso d’opera, può regalare grandi soddisfazioni. Senza dover aspettare di tagliare il traguardo degli antaRoberta Fiorino, biologa di San Giorgio Jonico (Taranto) ad esempio, ci è riuscita a 26 anni: a gennaio scorso è stata l’unica italiana ammessa al Max Planck Institute di Dortmund (Germania), che ha sfornato 22 premi Nobel.

Erano stati in 400 a presentare richiesta insieme a Roberta Fiorino, ma solo in 7 hanno ricevuto una risposta positiva. La sfida che la aspetta è stimolante, e ricca di possibili implicazioni sulla vita di milioni di persone: individuare meccanismi/fattori che determinano l’insorgere di malattie neurodegenerative come l’Alzheimer.

Roberta Fiorino: dopo il liceo, chiusa una porta si è spalancato un portone

Conseguita la maturità, partecipa ai test d’ingresso della facoltà di Veterinaria, sperando di coronare il suo amore per gli animali, ed in particolare per i cavalli. Non viene però ammessa. Molte ragazze al suo posto si scoraggerebbero forse colpevolizzerebbero, anche. Non Roberta Fiorino, che vede in questo (relativo) insuccesso l’opportunità per intraprendere un altro percorso di studi (Scienze Biologiche), mettendo a frutto il suo interesse per l’analisi microscopica degli organismi viventi.

Roberta-Fiorino-Max-Planck-InstituteConsegue sia la laurea triennale che quella magistrale con 110/110 e lode, e dopo vola negli Usa per un’esperienza presso lo Stowers Institute for Medical Research (Kansas City). Adesso Roberta Fiorino è impegnata ad analizzare, con il team del Max Planck Institute, le proteine caratteristiche delle patologie neurodegenerative, quelle definite malripiegate, che, depositandosi all’interno ed all’esterno dei neuroni, compromettono il funzionamento ottimale del cervello. L’intento è mettere a punto un metodo che eviti l’accumulo di tali proteine.

Scommettere sul proprio talento, tenere accesa la fiamma della motivazione…e disattivare le orecchie quando a parlare è chi, quasi per professione (certamente per vocazione), non fa altro che sabotare e sminuire progetti e aspirazioni altrui. Questa, in breve la “ricetta” di Roberta Fiorino per costruire la propria, personale, strada verso il successo.

 

 

Francesca Garrisi     

Quando le cose non mi divertono, mi ammalo  (H.B.)

 

 

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Viaggio e immortalo i paesaggi ad acquerello. La storia di Alicia

In tanti amano le fotografie di viaggio. 

Ormai la tecnologia ci consente di scattarne una quantità tale da non dare più importanza alla reale riuscita, selezionando in un secondo momento le migliori. 

Quasi fosse più l’ansia del mostrare ciò che si è fatto anziché viverlo sulla propria pelle, dimenticandosi di cellulare e fotocamera.

Discorso diverso è chi ha deciso di fissare nella memoria i propri viaggi... utilizzando le proprie capacità artistiche e pittoriche. 

Un viaggio infatti può essere rivissuto in tanti modi e, come quando si scrive, l’utilizzo di strumenti fisici quali acquerelli e pennelli può ancor più indelebile il ricordo. 

Questo è sicuramente il caso di Alicia Aradilla, ragazza spagnola che ha deciso di prendersi un anno sabbatico dal suo lavoro in Samsung per viaggiare tra Europa, Asia e Medio Oriente. 

Fotografare ad acquerello 

Alicia era ed è una graphic designer professionista che per anni ha coltivato la passione per il disegno artistico. 

Quando ha iniziato a viaggiare non ha potuto fare a meno di portarsi dietro "gli strumenti del mestiere", immortalando i luoghi che le suscitavano un’emozione.  

Disegnare e colorare località da tutto il mondo è così diventata una sua speciale caratteristica. «Per alcune persone viaggiare significa correre da una città all’altra, lottare per osservare un panorama e riempire il proprio smartphone di fotografie che a malapena riguarderanno», dice Alicia. «Io invece mi fermo. Parlo con le persone del luogo, guardo ogni singolo dettaglio e mi godo l’esperienza. Poi immortalo tutto sul mio quaderno» ha dichiarato in un’intervista sul blog Mangia, Vivi, viaggia.  

 «All’inizio mi guardano un po’ male quando inizio a disegnare, ma poi diventano tutti molto orgogliosi quando scoprono che una parte della loro città resterà per sempre immortalata sul quaderno di una visitatrice straniera». 

Dal quaderno al libro

Alicia, accanto ai disegni, scrive anche qualche riga, per ricordare le emozioni vissute di fronte a quei posti. 

La particolarità dei reportage di Alicia le ha permesso di tenere un suo corso sulla piattaforma online Domestika, “Diario di viaggio ad acquerello”, e di cominciare a pubblicare le proprie opere allestendo anche mostre in giro per il globo.

«Dopo aver lasciato un posto, apro il mio quaderno e lo ricordo proprio come se fossi lì. Spero che i miei disegni ispirino gli altri a creare personalmente dei souvenir dai loro viaggi, proprio come faccio io. Perché il mondo è fatto di mille, meravigliosi colori».
 

Vi consiglio di andare a visitare il suo profilo Instagram, veramente unico e ricco di sfumature, una gioia per gli occhi! 

 

di Irene Caltabiano

 

 

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Animenta, la guarigione non è reale se non è condivisa

Storie. 

animenta1Siamo le storie che raccontiamo. 

Ricordo che all’università il professore di Giornalismo e Comunicazione ripeteva ossessivamente che l’intera esistenza dell’umanità si fonda sul tramandarsi storie. Perché? Perché le storie trasmettono informazioni, informazioni che possono risultare utili su tutti i livelli. 

Soprattutto quando, attraverso di esse, ci si immedesima in ciò che prova l'io narrante e si esercita l’empatia. E in effetti, leggendo i racconti pubblicati su Animenta, anche se non ho mai vissuto direttamente questa tipologia di problematiche, emerge un senso di vicinanza e speranza, la percezione di una comunità che crea legami e allontana dalla solitudine.  

Una condivisione che mi ha portato a parafrasare la famosa frase di Cristopher McCandless, trasformandola nel titolo stesso dell'articolo.

Cos’è Animenta 

Animenta è un’associazione no-profit creata per raccontare, informare e sensibilizzare sui disturbi del comportamento alimentare. 

«Come sede siamo a Roma ma online siamo arrivati fino a Seul» afferma Aurora CapoRossi, fondatrice e presidentessa. Lei stessa ha sofferto di anoressia, perdendo per un periodo significativo la “brillantezza e la freschezza” che avrebbe dovuto caratterizzare una sedicenne.  

«Un giorno stavo mangiando una caramella alla menta e cercando di capire come chiamare la realtà che stava nascendo, mi sono resa conto di quanto sia potente questo senso di menta fresca e fredda». 

Una ventata di vitalità che risveglia i sensi. Da qui l’idea di mettere la foglia di mentuccia nel logo e di ritrovare quella leggerezza che per tanto tempo aveva abbandonato, proprio attraverso il nome del suo progetto.

Dal blog all’associazione 

animenta3Inizialmente Animenta nasce come progetto social e blog, in cui diverse donne, ma anche uomini, hanno raccontato le loro esperienze personali, il momento in cui si sono manifestati i primi disturbi e il rapporto con il DCA.  

Alcuni ci convivono da pochi anni, altri da una vita intera. Età ed esperienze diverse ma un punto in comune: nell’illusione dell’eccessiva disciplina, i protagonisti dei racconti hanno perso il controllo di loro stessi, lasciando che la malattia li dominasse.  

Così dalla semplice testimonianza è nata la necessità di agire in maniera più concreta. «Sentivamo soprattutto il bisogno di costruire programmi di prevenzione e sensibilizzazione all’interno delle scuole».  

Non solo dunque avvicinare le giovani generazioni a queste problematiche ma agire anche a livello più pratico. Ci sono una sessantina di volontari tra ragazzi e ragazze, psicologi e psicoterapeuti, che mettono gratuitamente a disposizione la propria esperienza e professionalità.  

Sfatare i falsi miti 

animeta6In effetti, se pensiamo ai disturbi alimentari li ricolleghiamo a qualcosa di adolescenziale, mentre in realtà ci sono tanti adulti che hanno affrontato o stanno affrontando tali difficoltà.

L’idea di raccontare più storie, anche in formato anonimo, nasce dal bisogno di non creare stereotipi e offrire a chiunque la possibilità di sentirsi rappresentato. 

Aurora è una marketing manager che ha cambiato completamente la sua vita per creare questa associazione, anche un po’ con l'intento di riscrivere la comunicazione intorno a questa tipologia di disturbi. «Sul nostro profilo Instagram non si troverà una foto né di corpo né di cibo, non si parla di peso, si parla di emozione, di storia, si parla di ciò che non si vede. I disturbi riguardano una persona nella sua totalità».  

Attività collaterali 

animeta-pasta

Animenta è fra le associazioni che fanno parte del Movimento Lilla, che ha chiesto al Ministero della Salute il riconoscimento dei disturbi del comportamento alimentare come malattie autonome, con un budget dedicato all’interno dei LEA, i livelli essenziali di assistenza.  

«I disturbi alimentari sono multifattoriali e per essere curati hanno bisogno di una equipe. Vorremmo creare un dialogo, un punto di incontro che, al di là del protocollo della parte più clinica, metta al centro la persona». 

Oltre alle attività sopracitate, Animenta sta portando avanti diverse altre iniziative parallele tra cui Lettere al corpo, il primo progetto teatrale dell'associazione, la cui testimonial è Ambra Angiolini. 

Un laboratorio in cui ha sofferto di questi disturbi parla apertamente al proprio corpo, scrivendo, un modo per riavvicinarsi a sé stessi, per perdonarsi e ricominciare.  

Un altro progetto parallelo interessante è la pasta di Animenta, realizzata in collaborazione con l’associazione Pepecrusco, per riscrivere un nuovo rapporto con il cibo, per capire che non esistono cibi buoni o cattivi, ma che il cibo è relazione, socialità energia.  

E sicuramente, non è un nemico.  

 

 

 

 

 

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