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I racconti di chi ha cambiato vita ✌

Stacey Cunningham: la scalata a Wall Street è cominciata da uno stage…e un corso di cucina

Qual è il confine tra coraggio e incoscienza?

Fearless-Girl

L’infanzia, territorio stregato capace di accogliere senza contraddizioni luci e ombre, è probabilmente l’unica stagione dell’esistenza in cui non è prioritario rispondere alla domanda.

Pugni sui fianchi, gambe divaricate, sguardo rivolto verso l’alto. Si presenta così la Fearless Girl (ragazza intrepida) che fronteggia il Charging Bull di Wall Street. Due statue che assurgono a simbolo della dialettica tra la consolidata egemonia maschile nel settore della finanza, e la necessità di integrare la componente femminile.

Oggi la posa stentorea dell’indomita bambina si è conquistata un volto di carne, quello di Stacey Cunningham, la 43enne che da venerdì prossimo assumerà la guida di Wall Street. È la prima donna a ricoprire questo ruolo in più di 200 anni di storia dell’istituzione. La collega Adena Friedman, invece, è arrivata ai vertici del Nasdaq (National Association of Securities Dealers Automated Quotation, il primo mercato borsistico basato su una rete di computer) nel gennaio 2017.

Il percorso che ha portato Stacey Cunningham a capo dello Stock Exchange di New York (NYSE) è stato lungo e variegato. Non è mancato, infatti, un intermezzo durante il quale la donna ha scelto di mettersi alla prova in un campo completamente diverso, ovvero quello culinario.

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Uno stage estivo…e l’appetito vien mangiando

Stacey-CunninghamLa studentessa universitaria Stacey Cunningham approda a Wall Street nel 1994 in veste di intern. Sin da subito avverte un forte senso di affinità e appartenenza: capisce che è quello l’habitat in cui può esprimere le sue aspirazioni più profonde. Così, un passo dopo l’altro, si guadagna il ruolo di Trading Floor Clerk.

“Perdersi”, per ritrovare le proprie radici

Nel 2005 Stacey Cunningham decide di sparigliare le carte in tavola, e passa dalla finanza alla cucina. Frequenta l’Institute of Culinary Education e lavora per un periodo nel ristorante Ouest. Il richiamo delle origini, però, è irresistibile, e nel 2007 approda al Nasdaq, per poi tornare a Wall Street nel 2012. Un anno dopo è già capo delle vendite e del management e, nel 2015, Chief Operating Officer.

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Muriel-SiebertCiò che colpisce, leggendo le dichiarazioni di Stacey Cunningham, è la nitida, ferrea determinazione che ha messo in tutto ciò che ha fatto. A guidarla è stata la consapevolezza di potersi esprimere pienamente nel settore finanziario bypassando datati pregiudizi di genere. Determinante è stato l’esempio di Muriel Siebert, che dal 1968 al 1978 è stata l’unica donna a Wall Street; grazie alla sua caparbietà, nel 1987, al settimo piano dell’edificio fu realizzato il primo bagno per signore.


Gli uomini al timone di grandi gruppi industriali ed istituzioni dovrebbero essere sufficientemente coraggiosi da condividere il potere con le donne e altri gruppi oggetto di discriminazioni. È l’unico modo, infatti, per valorizzarne le peculiarità”. Così Muriel Siebert.

Stacey-Cunningham

Digitalizzare e rilanciare, esorcizzando il calo del volume di scambi che ha interessato negli ultimi dieci anni il NYSE. Il compito che spetta a Stacey Cunningham è di quelli che fanno tremare i polsi. Quando gli occhi di tutti sono puntati su di te, sbagliare è più facile, se ti fai prendere dall’ansia da prestazione. E il minimo passo falso può prestarsi a un’amplificazione strumentale. La vulnerabilità è spesso direttamente proporzionale al potere e alle responsabilità assegnate, ma se hai dovuto faticare doppio per arrivare in cima, il tuo sguardo sarà estremamente sensibile e reattivo nei confronti delle criticità.

 
francesca garrisi
 

 

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“L’India ci è rimasta dentro, e ogni nostro vestito ne porta con sé un pezzo”

Ci sono esperienze che rappresentano spartiacque

IndiaViaggi dopo i quali non siamo più gli stessi, perché ci obbligano a guardare in faccia non solo i nostri desideri più profondi, ma anche quello che bisogna lasciar andare, per cambiare pelle.

Visitare l’India, ad esempio, equivale a immergersi in un calderone di emozioni contrastanti, salire su una specie di montagne russe dopo le quali ci si ritrova davanti a un bivio. Etica, consapevolezza, responsabilità diventano così parole d’ordine capaci di stagliarsi con imperiosità, e determinare scelte tanto rapide quanto impegnative.

Isabella Rovaris (psicologa forense) e Matteo Momentè (attore), coppia trevigiana, tre anni fa hanno deciso di trasformare la loro passione per l’India in qualcosa di concreto e tangibile. Un amore che è “fruttato” loro Full Power, marchio di abbigliamento caratterizzato dal connubio tra prezzi accessibili e processi produttivi etici.

I vestiti Full Power, in cotone biologico e canapa, vengono realizzati a Pushkar, nello stato indiano del Rajasthan, senza sfruttare il lavoro minorile e offrendo agli adulti condizioni ambientali e retribuzione dignitosa.

A oggi i capi confezionati vengono vendute all’interno di fiere e mercatini appartenenti al circuito equosolidale. Il prezzo unitario non supera mai i 60 euro.

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Perché Full Power?

Full-Power-Isabella-Rovaris La scelta del nome è stata una felice casualità. Raju, il proprietario della sartoria che collabora con Isabella Rovaris e Matteo Momentè, suggerì di aggiungere ai capi d’abbigliamento confezionati un’etichetta. Così, propose di utilizzare l’espressione Full Power in quanto, in India, significa in piena forma. Un modo, questo, per riassumere e abbracciare tutte le sfumature del concetto di consumo consapevole.

Se volere è potere, per affrontare attivamente la nostra esistenza, dobbiamo essere partecipi di quello che ci succede intorno, e informarci.

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Un meccanismo collaudato

Full Power è “figlio” di una squadra di lavoro affiatata e compatta, che ogni anno realizza circa duemila capi. Isabella Rovaris e Matteo Momentè scelgono i tessuti e si occupano dei disegni, e su questi interviene poi il maestro sarto Goyal.

La filiera produttiva di Full Power è caratterizzata dal lavoro a mano e dall’impiego di cotone certificato Gots, proveniente cioè da colture biologiche. Il punto di forza del marchio, spiega la coppia trevigiana, è legato alla complementarietà del know how italiano e di quello indiano. Il primo rappresenta la mente, e suggerisce quindi un’idea, il secondo invece, a mo’ di braccio, mette in campo le proprie abilità sartoriali e numerose, eterogenee, materie prime.

Full Power nasce come marchio d’abbigliamento, ma le sue “ambizioni” sono di più ampio respiro. Isabella Rovaris e Matteo Momentè vogliono offrire un approccio radicale e propositivo applicabile in ogni frangente della quotidianità. Così, hanno in programma di lanciare un sito dedicato non solo all’artigianato ma anche al cibo. Un’agorà virtuale che riunisca domanda e offerta sotto un minimo comun denominatore, l’agire etico.

 
francesca garrisi
 
 

 

 

 

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Pasta Rummo: neanche l’alluvione spazza via tenacia e ottimismo

Acqua, aria, terra, fuoco

Pasta-RummoI quattro elementi sono gli ingredienti fondamentali dell’esistenza degli organismi vegetali, animali e umani. Come spesso accade, però, il ruolo che giocano viene dato per scontato e “confinato” sotto traccia fino a quando la routine quotidiana scorre senza intoppi.

Non appena però la casualità, il meteo, la negligenza umana (o tutti e tre) determinano un macroscopico squilibrio nel territorio, gli elementi ambientali sfuggono al controllo, come se si ribellassero bruscamente. Inevitabile, a questo punto, percepire con chiarezza la vulnerabilità ed aleatorietà dell’esistenza.  

Capita così che un’improvvisa, torrenziale, pioggia, possa ingrossare a tal punto i corsi d’acqua, da spazzare via un intero territorio. Case, scuole…e aziende che, nel corso di più di un secolo, si erano conquistate il ruolo di punto di riferimento e spina dorsale della comunità.

Quando tutto cambia in una notte

Pasta-RummoTra il 14 e il 15 ottobre 2015 il maltempo sferza il Sannio; in poche ore cadono circa 140 mm di precipitazioni, l’equivalente della pioggia di un mese. Il fiume Calore e gli affluenti straripano: l’area del beneventano si ritrova massacrata. La sintesi straziante della situazione è rappresentata dal Pastificio Rummo, vero e proprio emblema del territorio, a cui ha legato a doppio filo il proprio destino. L’impianto era stato fondato nel 1846.

I numeri di una tragedia sventata

20 operai rimasti imprigionati nello stabilimento la notte tra il 14 e il 15 ottobre 2015. 40 milioni di euro di danni, che hanno riguardato nella quasi totalità dei casi gli interni, ovvero macchinari e strumenti, distrutti e colpiti da corto circuito.

Come ha spiegato la presidenza del Pastificio Rummo, chiudere dopo l’esondazione non è mai stata un’opzione contemplata. I timori, palpabili, e gli interrogativi sul futuro hanno inevitabilmente investito i dipendenti, una vera e propria comunità di 200 persone, ma l’atteggiamento deciso e reattivo tenuto dai vertici è stato più eloquente di qualunque discorso.  L’azienda ha speso circa 600mila euro per smaltire più di 110 autotreni di fango, e un sostanziale supporto è stato offerto anche dai circa 1.000 volontari provenienti da tutta Italia. Dal canto suo, la Regione ha stanziato un contributo di circa 750mila euro.

Lo stabilimento riapre nel marzo 2016, ma nei mesi precedenti l’attività non si arresta comunque, in quanto viene esternalizzata a Matera, San Sepolcro ed Eboli; l’export, nello stesso anno, è stato del 40%.

Pasta-RummoNella vicenda del Pastificio Rummo il passaparola a mezzo social gioca un ruolo decisivo; subito dopo l’alluvione, infatti, emerge con chiarezza che, in caso di chiusura dell’impianto, le ricadute sarebbero disastrose anche per la comunità di Benevento. La “macchina della solidarietà” si mette in moto: personaggi popolari come Fiorello (e non solo) condividono le proprie foto accompagnate dall’hashtag #saveRummo; le vendite lievitano fino ad arrivare a +500%.

Una rinascita, quella vissuta dal Pastificio Rummo, caratterizzata anche da un altro ingrediente, e cioè l’autoironia. Il post alluvione, infatti, è stato scandito dallo slogan “l’acqua non ci ha mai rammolliti”. I dettagli fanno la differenza: l’esperienza, come un pizzico di sale, regalano una pennellata in più di carattere.

 
francesca garrisi
 
 
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