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I racconti di chi ha cambiato vita ✌

Poupine: la malattia non spegne la voglia di vivere ed essere femminile

Per contrastare la leucemia non basta la medicina

Farmaci e costanti monitoraggi sono fondamentali, ma per concedersi davvero di immaginare un futuro oltre, bisogna coltivare una passione, una fiammella di curiosità, ed innaffiarle con affetti sinceri. Poupine è un marchio di gonne in tartan, il tessuto dei kilt scozzesi, che, ancor prima di diventare simbolo di moda, ha incarnato la riscossa di una donna.

Francesca Romana Paciaroni, questo il suo nome, dopo aver scoperto di essere affetta da leucemia nel 2015, ha attraversato un percorso fatto di cure mediche, e non solo. Il sostegno della donne della famiglia l’ha aiutata a conservare femminilità e spirito combattivo. Nel frattempo, le casualità congiuravano per farle incontrare Francesca Petaccia, e da una trasfusione mancata sono nati un’amicizia e un oggetto di abbigliamento che, valorizza il corpo e istiga a godersi la vita. Non è un caso che Poupine in francese significhi pacioccona, parola che evoca immediatamente l’immagine di una bambina sorridente e con le guance rosse.

Un oggetto che fa sentire diva ogni donna

Il brand ideato da Francesca Romana Paciaroni, 36enne romana, e Francesca Petaccia, 33enne abruzzese, ha debuttato sul mercato a novembre 2017. Poupine offre gonne per tutti i gusti e le esigenze: il modello classico è a ruota e lungo fino a piedi, c’è poi la longuette, la variante asimmetrica e quella a portafoglio. Il tartan, scelto dalle due amiche con sguardo quasi veggente, sarà il principale “ingrediente” delle collezioni moda della prossima stagione.

Federica-Fontana-PoupineIl prezzo di una Poupine è 186 euro, e per ordinarla è sufficiente mandare una mail a info@poupine.it indicando la misura del proprio girovita, la stoffa e il modello scelto. Al momento le “vetrine” del brand sono Facebook e Instagram, che per Francesca Romana Paciaroni ha rappresentato il principale sbocco sul mondo durante la permanenza in ospedale.

Poupine ha ottenuto sin da subito un grande riscontro social, e sono ormai moltissime le donne dello spettacolo che hanno scelto una gonna in tartan realizzata dalle due amiche. Nell’ultimo mese, inoltre, il passaparola via web ha fatto lievitare gli ordini.

Tornare a vivere tra punti interrogativi e nuove consapevolezze

Oggi Francesca Romana Paciaroni è in fase di recupero, dopo aver ricevuto midollo osseo sano da una sconosciuta ragazza tedesca, tuttavia è ancora presto per definire archiviata la malattia. La quotidianità è cambiata, a causa delle gravi difficoltà che il corpo ha dovuto fronteggiare, ma la 36enne è riuscita a impedire alla leucemia di privarla del tutto delle piacevoli abitudini che aveva. Continuare a curare il suo look mentre si occupava della salute l’ha mantenuta ancorata alla realtà.

Il suo impegno con Poupine va di pari passo con la sensibilizzazione sul tema della donazione del midollo osseo, il cui naturale completamento è la onlus LeuceVia fondata dal fratello Riccardo.

La malattia, quale che sia, non esaurisce ciò che siamo. O meglio, dobbiamo impedirle di monopolizzare pensieri ed energie. Questo non ci darà la certezza di guarire, ma perlomeno imprimerà senso e scopo alle giornate. Dopotutto ognuno coltiva segretamente il sogno della sua, personale, Poupine, o no?

 
francesca garrisi
 


 

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“Recupero i libri che per qualcuno sono inutili, e aiuto a studiare chi non può permetterselo”

Quante cose diamo per scontante nel cosiddetto mondo ricco?

Tante. Anzi, troppe. Quasi mai ci fermiamo a riflettere sul fatto che viviamo in case confortevoli, che abbiamo cibo sufficiente, e che nel tempo libero possiamo scegliere se leggere un libro, incontrare gli amici, o andare a teatro. Sottovalutiamo sistematicamente il valore della cultura: qualcuno la reputa addirittura noiosa, se non fonte di pesantezza. Eppure la formazione incide profondamente sulla nostra crescita umana, professionale … ed economica.

José Alberto GutierrezL’emancipazione individuale nei Paesi poveri rappresenta spesso un miraggio, ma figure come quella di José Alberto Gutierrez, soprannominato il signore dei libri, contribuiscono a rovesciare il “destino annunciato” puntando sulla cultura.  Il 55enne di Bogotà, infatti, in vent’anni ha recuperato dai bidoni di spazzatura più di 50mila libri, che sono stati ceduti gratuitamente a circa 500 biblioteche colombiane. Si stima che il suo impegno abbia cambiato la vita di 20mila connazionali dislocati nelle aree depresse.

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Far rinascere un libro è la seconda chance di un’intera comunità

José Alberto GutierrezNel 1997 José Alberto Gutierrez comincia a lavorare come autista per l’azienda di Bogotà che si occupa di rifiuti. Di notte, durante un turno nel settore ovest della città, e cioè quello benestante, l’uomo trova nella spazzatura una copia di Anna Karenina di Lev Tolstoj. Giudica incredibile che qualcuno si sia sbarazzato di un oggetto di tale valore, artistico e umano. Così, decide di combattere lo spreco culturale tramutandolo in un’opportunità.

Inizialmente è cauto nel raccogliere i libri gettati via; ne porta a casa non più di cinquanta per volta, in quanto teme che qualcuno possa pensare che a muoverlo sia il lucro. La moglie, dal canto suo, aggiusta i più malconci sistemandone copertina e rilegatura.

Ma non basta. José Alberto Gutierrez decide di organizzare in casa sua, nel popolare quartiere di Nueva Gloria, una biblioteca a disposizione della collettività e crea la Fundación La Fuerza de las Palabras (Fondazione la Forza delle Parole). Negli ultimi dieci anni la coppia è riuscita a portare avanti la capillare distribuzione di libri in tutto il Paese, raggiungendo circa 250 località rurali. Letteratura per bambini, poesie, testi scientifici. Basta chiedere…e loro trovano il modo per arrivare.

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“L’universo mi ha designato per salvare i libri”. In queste parole José Alberto Gutierrez ha sintetizzato l’origine della sua scelta di vita. La frase potrebbe forse essere giudicata pretenziosa, ma per coglierne il senso è necessario contestualizzarla nella sua storia personale.

José Alberto GutierrezQuando era un bambino, la madre gli leggeva qualcosa ogni sera, e mentre lavorava nei campi, recitava al padre i passaggi imparati a memoria. Il legame di José Alberto Gutierrez con i libri è talmente forte, che neanche l’interruzione degli studi per motivi economici è riuscita a spezzarlo.

Ottimismo e determinazione non hanno abbandonato il signore dei libri neanche oggi, a dispetto della perdita del lavoro. Al contrario, insieme alla sua famiglia, rilancia la posta in gioco: il prossimo obiettivo da realizzare è una biblioteca-museo comprensiva di un laboratorio di riciclo, di una banca-dati e di una raccolta di classici letterari.

Per trasformare il sogno in realtà sono necessari circa 300mila dollari. Tutti quelli zeri farebbero impallidire chiunque, e molti, scoraggiati in partenza, non tenterebbero neanche l’impresa. Fortunatamente, però, chi ha “sfamato” migliaia di persone mettendo insieme con pazienza volumi su volumi non sa cosa sia lo scoraggiamento.

 
francesca garrisi
 

 

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The Hate Destroyer: combattere razzismo e omofobia con un sorriso…e una bomboletta spray

Le parole sono importanti: quotidianamente dobbiamo decidere se farne ponti o coltelli

Non sempre è facile usare questo potere in modo costruttivo, in primo luogo perché ci destreggiamo tra contesti e registri diversissimi tra loro. A questo si aggiunge il fatto che l’ambiente comunicativo costruito dai social è caratterizzato da toni di voce così alti, che scegliere cosa merita, e scartare il resto, può rivelarsi un’impresa.

La differenza tra creta e fango può essere molto sottile

Il linguaggio gioca un ruolo decisivo in ogni società, perché indica in che modo pensiamo e plasmiamo la realtà. Contestualmente, le parole sciatte e improprie, come pure quelle gratuitamente offensive, inquinano la mente e impoveriscono l’anima. Anche di chi, suo malgrado, le ascolta o legge.

I social hanno garantito al concetto di odio e alle sue innumerevoli declinazioni un posto d’onore. Fortunatamente, però, in tutto il mondo ci sono persone che combattono contro la violenza verbale, psicologica e sociale innescata da parole che trasudano insofferenza e disprezzo. Quotidianamente Irmela Mensah Schramm dimostra che anche gesti apparentemente semplici sono importanti per fare terra bruciata intorno a fenomeni quali il razzismo e l’omofobia.

Irmela, la “spazzina politica” che non ha paura della solitudine

Irmela Mensah Schramm Irmela Mensah Schramm è una 70enne tedesca che colpisce immediatamente con i suoi vivaci occhi azzurri. Una vita, la sua, caratterizzata da rifiuti e dolori che non sono comunque riusciti a indurirla. Anzi, quasi certamente i suoi trascorsi hanno amplificato la capacità di indignarsi davanti alle ingiustizie e alle discriminazioni.

A imprimere una svolta al corso dei suoi giorni, un episodio avvenuto una mattina del 1985. Mentre Irmela si reca al lavoro, nota un adesivo razzista che “celebra” Rudolf Hess, una delle figure più importanti del Terzo Reich. Continua a pensarci, con un mix di fastidio e malessere, per ore, finchè torna sul posto e lo stacca con le chiavi di casa. Da allora non ha più smesso di andare in giro per Berlino a rimuovere o modificare graffiti e manifesti neonazisti, razzisti e omofobi. Ad accompagnarla, fedeli, ci sono la sua borsa di tela su cui campeggia la scritta “Contro i nazisti”, una bomboletta spray, una bottiglietta di acetone e un rastrello.

Irmela Mensah Schramm Irmela Mensah Schramm si è dovuta confrontare, nel corso degli anni, con atteggiamenti contraddittori da parte delle istituzioni e della società tedesca. Infatti, anche se è stata insignita con la medaglia al merito civile, ha subito multe e richiami per essersi resa responsabile di atti lesivi del decoro e dei beni pubblici. Quando i passanti la vedono rimuovere un adesivo razzista o coprire una svastica con un cuore, la ignorano, e come se non bastasse, riceve minacce di morte da parte di gruppi di estrema destra.

La 70enne berlinese con gli occhi vivaci, però, non cede allo sconforto né, tantomeno si arrende. Al contrario, ha creato un archivio fotografico che comprende i circa 150mila simboli di odio finora rimossi e le lettere minatorie. All’estero la sua figura è considerata paradigmatica e degna di attenzione, spesso viene invitata a raccontare la sua esperienza, e il regista italiano Vincenzo Caruso le ha dedicato il documentario The Hate Destroyer.

“Non mi interessa essere più forte degli altri. Voglio solo avere la forza di guardarmi allo specchio”. Irmela Mensah Schramm sceglie queste parole per descriversi. Gli ultimi 30 anni della sua vita a testimoniare il fatto che la memoria del passato è condizione necessaria ma non sufficiente a evitare recidive. A fare la differenza è la capacità di impegnarsi in prima persona, traghettando il proprio idealismo attraverso gesti concretamente sovversivi.

 

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