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I racconti di chi ha cambiato vita ✌

Voglio vivere così... alle Canarie!

“Voglio vivere così…col sole in fronte e felice canto, canto per me…”

canarìeMi è venuta in mente la canzone di Claudio Villa, quando giorni fa ripensavo al viaggio che dovevo fare e poi non ho fatto per le Canarie.

Avevo comprato il biglietto aereo e prenotato l’albergo, una vacanza coi fiocchi per riscaldarmi durante l'inverno. Fino a quando per motivi personali dovetti rinunciare.

La cosa non l’ho digerita e ogni tanto nei miei momenti di autolesionismo più acuto ci ripenso. Penso a Tenerife, Gran Canaria e Lanzarote, mete tra le più gettonate che sicuramente avrei visto.

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Penso a cosa fare e a cosa vedere, a trasferirmi definitivamente.

gran canarìaA trovarmi un lavoro nella ristorazione e nelle strutture ricettive, perché sono luoghi in cui il turismo è un fenomeno ininterrotto.

Penso a spostarmi continuamente, così da poter sfruttare la mia conoscenza dello spagnolo in altri settori interessanti, come: il mercato immobiliare, nelle Tic (tecnologia dell’informazioni o delle telecomunicazioni) o nel settore audiovisivo (film, cortometraggi, spot pubblicitari).

D’altronde, il bacino d’utenza delle Canarie è talmente ampio e variegato che spazia dai cultori del surf, ai nomadi digitali, dai pensionati agli appassionati di trekking dando la possibilità a chi ha delle idee creative di trovare la propria nicchia.

gofioE con quei soldi potrei vivere come un eterno turista, visitando le isole dell’arcipelago per vedere le bellezze di Gran Canaria, un vero e proprio continente in miniatura.

Dove esiste una variegata concentrazione di tutte le caratteristiche naturali della altre isole. Dai paesaggi desertici di Roque Nublo, passando per i boschi esotici fino alle spiagge enormi assaggiando il gofio, tipico piatto locale.

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Dopo essermi saziato lascio la terra per andare sulla luna (sic), ovvero, Lanzarote, l’isola dei 30 vulcani.

lanzaroteTra saline e laghi sotterranei finisco nel centro dell’isola, a La Geria, un paesaggio arido di terra bruna e vulcanica dove spiccano i vigneti con i loro allineamenti geometrici.

Dal centro salgo sul Mirador del Rio, uno dei punti panoramici più belli dove intravedo surfisti cavalcare le onde in un oceano dove mi vorrei tuffare.

Un salto lo farei volentieri a Tenerife, l’isola più grande e popolata, con le sue piscine naturali de Los Gigantes dove si può fare il bagno in un’ acqua calma e trasparente dove potersi rilassare.

Un’esperienza interessante e rinfrescante paragonabile alla varietà musicale riscontrabile solo a Tenerife dove puoi goderti ritmi jazz, rock, blues, fino al flamenco e persino alle isas, il canto tipico delle Canarie in spazi diversissimi tra di loro dove, parafrasando Claudio Villa, puoi cantare felice con il sole in fronte.

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di Marco Lombardi

 

 

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Vita di A.P.: cambiare dipende da quanto lo vuoi davvero

A chi, questo titolo dovesse far venir in mente il bel film del 2012 di Ang Lee, Vita di Pi, lo avviso subito, che questo articolo non c’entra niente.

lavorare all'estero1Da quando ho vent’anni mi è sempre stato consigliato da parenti e amici di fare un’esperienza all’estero.

Perché all’estero c’è lavoro, perché all’estero si vive meglio, perché impari una lingua nuova, perché avrai un futuro migliore.

Fuori dall’Italia avrei avuto una vita migliore? Può essere, ma ahimè non lo saprò mai.

Ma non voglio parlare di me, il protagonista del mio articolo è il mio amico A. P. (è un tipo riservato, mi ha detto: «ok, scrivi pure della mia esperienza ma metti solo le iniziali»).

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A.P. è sempre stato un ragazzo volenteroso ma incontentabile.

cucinaitaliana1Nella sua vita ha fatto i lavori più disparati: da garzone nei mercati ortofrutticoli, al muratore, passando per la manutenzione di fotocopiatrici fino al cuoco.

Forse con quest’ultimo ha trovato finalmente la sua dimensione, mettendo in pratica la sua passione ma come detto prima, A.P. è incontentabile e soprattutto imprevedibile.

Preparare piatti della tradizione italiana non lo entusiasmava più di tanto e in più non si trovava quasi mai a suo agio nei vari ristoranti in cui andava a cucinare.

Quindi un giorno incontra una persona che non vedeva da anni e coincidenza, anche lui lavora nel settore della ristorazione.

Si divide tra l’Italia e la Cambogia

cibo-cambogianoSei mesi da una parte e sei dall’altra. In più, ascoltando le lamentele del mio amico gli chiede di seguirlo perché hanno bisogno di un aiuto cuoco.

A.P. non è mai stato uno riflessivo, ma anzi si è sempre affidato all’istinto, nonostante a volte l’impulsività gli abbia fatto fare delle scelte sbagliate.

E quindi, in pochissimo tempo si procura il passaporto, assume un po’ di vaccini contro Epatite, Tubercolosi e Febbre tifoidea e compra un biglietto aereo con destinazione Sihanoukville.

Un posto rinomato per le sue bellissime spiagge e per le isole tropicali.

Su una di queste, si trova un ristorantino gestito da una donna giapponese.

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Volontà e umiltà

cambogia paesaggiA.P. da buon ragazzo volenteroso si mette a lavorare imparando abbastanza velocemente piatti tradizionali come il Bai Sachchrouk o il Nam bahn Chock e qualche parola di khmer, la lingua locale.

Non ha difficoltà ad approcciarsi ad una cultura diversa, osserva e mette da parte l’arroganza. Nonostante sia un barang (straniero), si relazione ai locali mantenendo sempre la calma ed eliminando l’aggressività verbale tipica di noi occidentali.

Questo suo atteggiamento viene molto apprezzato così come lui apprezza la voglia di ridere dei cambogiani. Che tra le altre cose mi ha riferito essere dei gran burloni.

Quando A.P. si è dovuto radere la testa per aver preso i pidocchi lo scambiavano per un monaco buddista e una volta gli hanno fatto assaggiare un piatto di carne, rivelandogli solo successivamente che l’ingrediente principale era il cane.

Comportamenti ai nostri occhi strani ma che fanno parte della loro cultura e che A.P. ha saputo apprezzare e purtroppo abbandonare solo perché era venuto il periodo delle piogge.

In Italia ha contato i giorni che lo separavano dal suo viaggio per ritornare lì dove, a sue parole, “ha trovato una seconda casa”.

di Marco Lombardi

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Tanti articoli e suggerimenti da persone che hanno inseguito i loro sogni e li hanno realizzati!

 

 

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Julio Valentìn Gonzalez: se un sogno è abbastanza grande non esistono limiti

A volte la vita è strana.

julio valentin gonzalesPrima ti regala grandi cose e poi te le toglie. Forse avrà pensato questo Julio Valentìn Gonzalez il 22 dicembre del 2005 quando stava lottando tra la vita e la morte in un ospedale a oltre 10.000 km dalla sua casa di Assuncìon.

Per chi non lo conoscesse, o anche per chi non se lo ricorda, Julio era un calciatore del Vicenza, quando la squadra veneta giocava in serie B.

Nel 2001, appena ventenne, fu acquistato dal Guaranì dove aveva totalizzato 17 gol in 29 partite nella massima serie del suo paese, il Paraguay.

“Mica male” pensarono i dirigenti del Vicenza, che non persero tempo a far venire in Italia questo ragazzone di 192 cm, un attaccante potente e forte nel colpo di testa, il classico bomber, come si suol dire nel gergo calcistico.

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Certo gli inizi non furono incoraggianti.

julio valentin gonzlaez 16Per usare un eufemismo. Julio al suo primo anno nel bel paese non scese mai in campo e fu rispedito a giocare in Sudamerica.

Il sogno di diventare un campione del calcio europeo sembrava essere svanito fino a quando dopo qualche anno ritornò al Vicenza.

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Grazie al nuovo allenatore e ad una squadra che finalmente esaltava le sue caratteristiche di centravanti d’area di rigore, il ragazzo esplose segnando 8 gol in 15 partite, diventando il capocannoniere del Vicenza.

E le buone notizie non finirono qui; Julio conquistò il posto da titolare della propria nazionale e firmò un precontratto con la Roma.

Il suo sogno di sfondare nel calcio che conta si stava realizzando.

Ma a volte la vita ti sorprende in maniera negativa.

valentin-gonzlaezMentre accompagnava un compagno di squadra all’aeroporto, venne coinvolto in un gravissimo incidente sull’A4, la sua macchina si scontrò contro un’autocisterna e il suo braccio sinistro rimase schiacciato tra lo sportello e il sedile.

Il coma e le trenta trasfusioni di sangue non promettevano nulla di buono. Poi, il risveglio.

La felicità per essere sopravvissuto fu attenuata dalla notizia dell’amputazione del braccio. Julio doveva dire addio al suo sogno da bambino.

Due anni di calvario per cercare di ritornare in campo furono inutili quando il Coni gli negò l’idoneità sportiva.

Il “gigante buono” non si scoraggiò e tornò a giocare in Paraguay, nel Tacuray dove disputò 60 minuti senza protesi ma per via di vari infortuni dovette abbandonare il calcio giocato.

A soli 27 anni Julio doveva cambiare vita, cercare nuovi stimoli.

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Ma cosa poteva fare un ex calciatore senza un braccio?

julio-gonzalezPer sua fortuna lo sport che aveva sempre amato gli venne incontro, Julio divenne responsabile del progetto sociale Inter campus in Paraguay e fondò la scuola calcio Los Halcones, dove tuttora, trasmette la propria passione a bambini tra i 6 e i 12 anni.

Quello che la sfortuna gli ha tolto in parte glielo ha restituito. Ma il sogno da bambino non è svanito, un giorno, Julio tornerà in Europa per provare a diventare un importante allenatore.

 

 

di  Marco Lombardi 

 

 

 

 

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