mentalità vincente

Allena il pensiero strategico ☝

Torschlusspanik: come riconoscere e gestire l’ossessione di perdere un’opportunità

La fretta è una pessima consigliera, ma il suo sponsor è fin troppo popolare

È l’angoscia, il terrore – spesso immotivato – di perdere un treno fondamentale per il corso della nostra vita. Un treno irripetibile e spietatamente puntuale, che non accetta di aspettare neanche cinque minuti oltre il tempo prestabilito.

TorschlusspanikIn tedesco c’è un’espressione che esprime in modo tanto sintetico quanto evocativo e stringente questo concetto: Torschlusspanik, composto derivante dall’unione di due termini, Torschluss e Panik. Il significato del secondo si può cogliere intuitivamente, in quanto richiama la parola italiana panico. Il primo, invece, significa letteralmente chiusura della porta.

Il Torschlusspanik indica quindi la paura derivante da una porta – reale o metaforica – che intuiamo/temiamo essere in procinto di chiudersi (definitivamente). Precludendoci così, per il resto della vita, una determinata opportunità.

Origine del Torschlusspanik

Il primo utilizzo del termine risale al Medioevo, quando il terrore da porta chiusa riguardava chi si trovava fuori dal proprio borgo al tramonto. Ci si esponeva, infatti, al rischio di trascorrere la notte all’aperto, e di essere aggrediti, rapinati e uccisi, da gruppi di briganti itineranti.

Il Torschlusspanik investiva anche le categorie più povere della popolazione che fortuitamente non fossero riuscite a rifugiarsi nel castello prima dell’arrivo dell’armata nemica. Una manciata di minuti avrebbe fatto decisamente la differenza: trovare il ponte levatoio aperto avrebbe significato speranza di sopravvivere, trovarlo sprangato, invece, avrebbe comportato fine certa.

Cosa rende il Torschlusspanik drammaticamente attuale?

Le storture, le anomalie e le contraddizioni stridenti con cui ognuno di noi, quotidianamente, deve fare i conti. Il marketing ci vorrebbe consumatori ligi ed ossequiosi al camaleontico mercato, ma stargli dietro è quasi impossibile, considerando le risicate paghe a cui la stragrande maggioranza dei neolaureati è costretta per molti anni.

Così l’emancipazione dal proprio nucleo familiare si rivela una corsa ad ostacoli, con ripercussioni più che evidenti anche sui rapporti sentimentali.

Ma non finisce qui: anche chi ha un lavoro stabile è sottoposto alle pressioni da competizione, tenuto in scacco dalle “sirene” della produttività…e disorientato dal fatto che, sempre più frequentemente, i media cercano di sedurlo promettendogli una vita slow, in cui la libertà assoluta, di espressione di sé e dai condizionamenti esterni, è a portata di mano.

Il risultato? L’esposizione costante ai confronti tra i propri (in) successi ed i trionfi inanellati dagli altri.

TorschlusspanikOggi, il Torschlusspanik è la smania di legarci al primo partner che non sia macroscopicamente sbagliato, pur di soffocare la vocina interiore che ripete “se continui così, resti zitella”. È l’impulso irrazionale di firmare il primo contratto a tempo indeterminato che ci capita, pur di non sfigurare davanti agli amici che grazie al fatidico pezzo di carta hanno già ottenuto un mutuo per la casa, il prestito per comprare la macchina. Fa niente se ci siamo forzati a lavorare come vigile per i prossimi 30 anni nonostante la laurea in Beni Culturali…

Ma il Torschlusspanik raggiunge la forma più compiuta di masochismo alleandosi (?) allo spauracchio dell’orologio biologico.

Finalmente ho un compagno! Basta perdere tempo. Se voglio diventare mamma, ora o mai più

Beate le 20enni. Hanno una vita davanti, bellezza e tutte le possibilità. Per avere 45 anni non sono male, ma il confronto è impietoso…

Che fare, allora, soccombere all’ansia da prestazione esistenziale e vivere alla perenne rincorsa di qualcosa che non c’è, o che non può tornare?

No. Tuttavia, ascoltare il Torschlusspanik in modo selettivo può rivelarsi utile per combattere pigrizia, tendenza alla procrastinazione e diffidenza verso il cambiamento. Qual è il discrimine tra la fisiologica paura di non afferrare un’opportunità, e l’ossessione di allinearsi a standard imposti dalla società?

Il primo e più immediato è provare a immaginarci in un futuro prossimo in cui quell’opportunità si è concretizzata. Quali sensazioni proviamo: autenticità, appartenenza, oppure disagio e soffocamento? Metterlo a fuoco è un ottimo punto di (ri) partenza per disegnare le nostre, personali, priorità.

 

Francesca Garrisi     

Quando le cose non mi divertono, mi ammalo  (H.B.)


 

google playSeguici anche su Google Edicola »

 

Continua...

Soffri di sindrome da burnout? Se sì, ecco come affrontarla

Corsa a ostacoli

Due, a volte anche tre lavori, palestra, corso di lingua o cucito. E magari aggiungiamoci anche un po’ di necessaria vita sociale con amici e partner.

Le 24 ore di una giornata sembrano scorrere sempre troppo velocemente. L’importante è non perdere mai tempo, sfruttare ogni minuto a disposizione, finché non stramazziamo sul letto per la stanchezza. 

Come se ci fosse costantemente qualcuno con una pistola puntata alle spalle che ti impone di correre, sbrigarti, muoverti, vincere la corsa

Ma vincere la competizione con chi, e perché a questi ritmi? 

Semplicemente, non lo sappiamo. Perché non ci fermiamo mai ed evitiamo di farci domande.  E così, rischiamo di andare in burnout

Il nome di questa sindrome negli anni è diventato sempre più familiare. In italiano potrebbe essere tradotto come "sindrome da sovraccarico". È una condizione in cui ci sente letteralmente “bruciati”, consumati come la testa un fiammifero, dal fuoco degli impegni e dell’iperproduttività. 

Un affaticamento che da mentale diventa irrimediabilmente fisico, portando a un aumento di malattie cardiovascolari e di disturbi quali psoriasi, emicranie o tante altre problematiche. 

Segnali della sindrome da burnout

In generale ci sono alcuni segnali per capire se sei andato o stai andando n burnout.  

  • Sei diventato più pessimista e cinico, sia verso gli altri che verso te stesso. Sei tendente alla negatività e al disfattismo, come se una piccola voce nella testa ti dicesse “Tanto, qualsiasi cosa faccio, non andrà bene”.  
  • Tendi ad avere meno fiducia negli altri, in cui vedi una minaccia e non più un’opportunità, diventando sempre più ossessionato dal puro risultato, senza “goderti” il percorso o notare i pregi di chi ti circonda.  
  • Ti senti solo contro il mondo e litighi più spesso con chi ti sta vicino, pensando di essere l’unico a star provando determinateemozioni. Non ti senti più in connessione con nessuno e questo porta a un isolamento sempre maggiore.
  • Vorresti dire basta a tutti questi impegni ma hai paura di non riuscirci e restare solo con i tuoi pensieri, che magari non riesci a gestire. E che devi subito “scacciare” in vista del prossimo obiettivo. 
  • Non riesci a godere dei risultati che ottieni né delle piccole cose della vita: una cena fuori, una passeggiata con il partner, una giornata a contatto con la natura. E anche quando ottieni dei risultati importanti, non riesci a dare il giusto valore.  
  • Hai meno autocontrollo e le tue dipendenze sono più forti. Tendi a mangiare, bere o fumare di più, e la concentrazione diminuisce. In pratica vivi con distrazione, senza essere presente a te stesso.  

Come contrastare la sindrome da burnout? 

La nostra soluzione al burnout è provare a fare più cose possibili contemporaneamente, seguendo il ragionamento del "se ho tanto da fare, devo darmi da fare".

Viviamo così nell’illusione del multitasking, ovvero del riuscire a fare più cose contemporaneamente. 

Ma, dal momento che non hanno ancora inventato il dono dell’ubiquità, è fondamentalmente impossibile. Quindi non si fa altro che passare da un compito all’altro, con il risultato di stancarci inutilmente e fare tutto male. 

Anche se alll’inizio proverai ansia pensando di star perdendo tempo, l’obiettivo è proprio rendersi conto che non si può fare tutto. 

Non si possono avere relazioni significative con tutti, ci si può prendere un carico di impegni lavorativi limitato e non ci si può assumere troppe responsabilità.

In breve? Sarai costretto a dare priorità a ciò che ti interessa maggiormente o a chi lo merita davvero. 

 

di Irene Caltabiano

 


 

google playSeguici anche su Google Edicola »

 

Continua...

Decluttering: mente sana e umore alto se lo spazio è ordinato e leggero

Vestiti, scarpe, libri, DVD…

Chi non ha a casa una discreta quantità di almeno uno di questi oggetti che non ha MAI usato? Eppure quando li avevamo acquistati eravamo convinti di non poterne assolutamente fare a meno.

DeclutteringCosì, anno dopo anno, casa si è affollata di cose, finchè ha cominciato a scarseggiare lo spazio per te, il tuo partner, i tuoi figli. Quasi contemporaneamente, il momento del rientro dal lavoro, dopo una giornata stressante e frenetica, ha smesso di essere il meritato premio, l’occasione per rigenerarsi, trasformandosi in fonte di ansia e angoscia. Pensi che sia una mera coincidenza? Sbagli, c’è un collegamento diretto tra lo spazio esterno e quello interno. Trascurare il primo si ripercuote inevitabilmente sul proprio stato d’animo e sul proprio benessere emotivo.

Dalla consapevolezza del nesso tra questi due elementi è scaturito il decluttering, anche detto space cleaner. La parola inglese declutter significa fare ordine, liberare spazio, sbarazzarsi di ciò che ingombra e basta. Costituisce quindi uno stile di vita improntato a valorizzare l’essenziale, lasciando andare tutto il resto. E riuscire a farlo quando si tratta di una giacca, di un vestito, o di una borsa confinati per anni nell’armadio a prendere polvere, aiuta a tagliare anche i rami secchi…immateriali.

Il decluttering si è sviluppato inizialmente nei Paesi anglosassoni (Inghilterra e Usa), per poi prendere piede anche in Europa ed Italia. A dare un contributo decisivo alla diffusione di questo termine è stata la giapponese Marie Kondo, ideatrice del metodo KonMari (riordino per categorie).

Decluttering: come affrontarlo (e superarlo egregiamente)

DeclutteringLa regola d’oro è un passo alla volta. Proporsi/ imporsi di fare pulizia tombale in casa nel giro di mezza giornata, è pura ingenuità, se viviamo in 60-80 metri quadrati. Dunque, meglio fissare obiettivi realistici: probabilmente una mattinata è il tempo ideale per alleggerire cassettiera e libreria del salotto di ninnoli e volumi inutili.

Ci sono oggetti/libri davanti ai quali il dubbio amletico (mi serve oppure no?) ti attanaglia? Spostali in uno scatolone, e concediti il tempo di decidere, non troppo però. È sufficiente una settimana.

Se in sette giorni non riesci neppure a ricontrollare il contenuto dello scatolone, significa che tutto quello che c’è dentro non ti serve davvero. In linea di massima, se nell’ultimo anno non hai MAI utilizzato una cosa, buttarla o donarla è quasi certamente la soluzione migliore.

Se sei costante ed affronti un epicentro di caos e accumulo dopo l’altro, al termine dell’opera ti sbalordirà quanto sarà cambiato l’aspetto della tua casa.

Inizia adesso la fase due, impegnativa, ma foriera di rapide (e visibili) soddisfazioni: distribuire ciò che hai (ri) scoperto essere essenziale per te nelle varie stanze e mobili Il restyling del tuo nido ti regalerà una sottile e stuzzicante adrenalina del tutto simile a quello che provi quando esci dal parrucchiere con un taglio nuovo fiammante. Voglia matta di ricominciare. Di sfidarsi. Di vivere.

 

Francesca Garrisi     

Quando le cose non mi divertono, mi ammalo  (H.B.)


 

google playSeguici anche su Google Edicola »

 

Continua...

 

FB  youtubeinstagram

✉ Iscriviti alla newsletter


☝ Privacy policy    ✍ Lavora con noi

Contattaci