Spotify, il killer delle case discografiche

Hanno ucciso le major musicali ( e chi è stato si sa eccome).
In  principio furono i Radiohead. La band alternative rock , nel 2007,  disse basta ai CD. Chi voleva ascoltare le loro canzoni l’avrebbe fatto online, dando all’utente possibilità di scegliere quanto pagare. Circa nove anni prima era stata lanciata Napster, nonna di Spotify e YouTube,  che aveva aperto la strada al sistema di condivisione peer to peer.  Le grandi case discografiche al tempo non avevano dato troppo peso alla cosa;  le vendite andavano ancora a gonfie vele.
 
 I più lungimiranti però percepivano già che l’oligopolio non sarebbe durato molto.  Le motivazioni, come molti potrebbero pensare, non erano prettamente economiche; ai giovani utenti non andava giù  che venisse imposto un prezzo ingiustificato all’arte, arricchendo le major come EMI o Sony Music. Già nel 2008, l’industria musicale tradizionale risultava in banca rotta.  L’opposizione di band del calibro dei Metallica, che si era imbarcata in una battaglia legale contro Napster,  si dimostrò vana. L’arte doveva essere democratica, egualitaria e a poco prezzo.  Pagare meno per rendere  fruibili i contenuti a più persone.  
 
Oggi siamo nel pieno della rivoluzione. Spotify e Soundcloud, in campo musicale, ma anche Netflix per film e serie televisive, garantiscono migliaia di contenuti a prezzi decisamente competitivi.  Cos’è successo alle vecchie major? Hanno resistito ma sicuramente ne sono uscite un po’ ammaccate, perdendo molti zeri sui guadagni.  Lo streaming è ormai l’unica via percorribile, così la maggioranza si è votata agli dei dello sharing.  Spotify paga al singolo artista da 0,006 a 0,0084 dollari per lo stream. Può sembrare una cifra infinitesimale  ma riproduzione dopo riproduzione, si fanno i milioni. Il rischio è che, se non sei pop, è difficile arrivare a grosse cifre. Se il singolo  non sfonda, si sta lavorando in perdita. 
 
Anche la formula freemium ha il suo lato oscuro. Si guadagna sul lungo periodo; se l’utente nota e comincia ad apprezzare la tua musica è probabile che sarà più disposto a comprare il nuovo singolo in uscita o andare ai concerti. Per non parlare di gadgets o esperienze come il backstage con l’artista. Se però rimani in basso alla classifica sarà difficile guadagnarsi da vivere. 
 
Spotify, dal canto suo, spende per diritti d’autore pagati ad artisti e case discografiche. Per il resto punta tutto sul contagio e sul diventare too big to fail.
 
 
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