Heil Zuckerberg! Quanto siamo vicini alla dittatura informativa?

«È un’azienda d’alta tecnologia, non d’informazione»

Proviamo a indovinare chi ha pronunciato questa frase. Il CEO di Microsoft? O magari quello di Apple...

Nessuno di loro due. Mark Zuckerberg minimizza l'influenza che ha ormai "il" social network sulle nostre vite e soprattutto sul mondo dell'informazione. Alza le mani, come a dire: «Io ho costruito il giocattolo, ora sta a voi regolarvi su come usarlo».

Peccato che sull'1,65 miliardi di utenti attivi al mese, il 61% dei millenials , cioé i giovani di età compresa tra i 16 e i 34 anni, lo usa per informarsi quotidianamente (dati del Pew research center). La credibilità che danno a queste notizie è un altro discorso, ma intanto il traffico gira vorticosamente, a favore del multimiliardario di Menlo Park. L'importante è esserci, bufale o meno, che siano articoli frutto di un'attenta analisi o dettati dall'entusiasmo del momento.

Ulteriore dato a conferma della cattiva fede di Mr Zuckerberg? La creazione degli instant articles. Cosa sono? Contenuti scritti, pubblicati, pubblicizzati senza passare da nessun altra piattaforma che non sia Facebook.

Il pesce grande è sempre più ingordo di pesci piccoli insomma, inghiottiti , volente o nolente, dalla corrente più forte. Sembra però che il “neutrale” calderone di contenuti si sia macchiato di onnipotenza, cominciando a metter censura su argomenti e contenuti fin troppo delicati.

I fatti

L'Aftenposten, principale quotidiano norvegese di proprietà di Scibsted, massimo gruppo editoriale scandinavo, ha accusato Zuckerberg di abuso di potere. Facebook ha cancellato la celeberrima foto del premio Pulitzer Nick Hut che ritrae Kim Puch, bambina vietnamita, mentre corre nuda bruciata dalle bombe al Napalm dopo l'intervento americano in Indocina. Giustificazione? Si intravedono i genitali dell'allora novenne.

Una procedura classica, avrà forse pensato il team di censura della piattaforma, soprattutto se si tratta di bambini. Ogni informazione tuttavia ha bisogno di essere contestualizzata. La foto era contenuta in un album di Tom Egeland, intitolato “Le sette fotografie che hanno cambiato la storia della guerra”. Lo scrittore è stato immediatamente sospeso dal social.

Ma c'è di più. Aftenposten da la notizia del blocco dell'account di Egeland sulla pagina ufficiale del quotidiano, ripubblicando la stessa immagine. Facebook rincara la dose e chiede di cancellare o rendere irriconoscibile la foto dalle proprie edizioni on line. Ciò che nelle intenzioni di Zuckerberg doveva essere un evento circoscritto, è arrivato fino alla orecchie della ministra Erna Solberg, che ha deciso, per protesta, di postare il pomo della discordia sul suo profilo Facebook.

Per tutta risposta, il quotidiano norvegese non solo non presta attenzione all'imperativo ma Egil Hansen, direttore e admin del giornale, scrive una lettera aperta a Mr Zuckerberg. « Caro Mark, hai creato delle regole che non distinguono tra pedopornografia e fotografie di guerra. Non lasci spazio alle critiche, al giudizio corretto. Facebook è diventata la principale piattaforma per la diffusione di informazione, dibattito , per mantenere contatti fra le persone e ti siamo grati di poterla utilizzare. Nonostante questo, credo stia abusando del tuo potere».

Il direttore si dice perplesso e arrabbiato. «Prova a immaginare una nuova guerra in cui i bambini saranno vittime di bombe al napalm o gas nervino. Vorresti frenare la documentazione di tali crudeltà solo perchè una minoranza potrebbe restarne colpita o perchè qualcuno potrebbe trovarci qualcosa di pornografico? Sono preoccupato che il medium più importante del mondo limiti la libertà anziché ampliarla, e in modo così autoritario»

La risposta di Facebook

Il portavoce del social, in risposta alle critiche di Hansen, ha chiarito la posizione dell'azienda:« Sebbene riconosciamo che questa foto sia un’icona, risulta difficile distinguere in quale caso sia opportuno permettere la pubblicazione di una foto di un bambino nudo. Cerchiamo di trovare il giusto equilibrio tra il permettere alle persone di esprimersi e il garantire alla community globale un’esperienza che sia sicura e rispettosa. Le nostre soluzioni non saranno sempre perfette, ma continueremo a cercare di migliorare le nostre policy e il modo in cui le applichiamo»

 Allora perchè non bloccate gli account di tutti i genitori che fanno dei propri bambini dei mini sex symbol? O chi magari non pubblica immagini, ma scrive o “disegna” oscenità molto peggiori? Per essere ancora più cattivi, magari è sconveniente ricordare alla Big Great America le proprie malefatte. Vista la situazione, dovremmo cominciare a riflettere sui rischi del pericoloso monopolio informativo verso cui stiamo andando. Dalla censura a una dittatura  virtuale il passo potrebbe non essere troppo breve.

di Irene Caltabiano

 

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