Fare carriera? No grazie, preferisco vivere!!!!

Nasce a Berlino il primo centro per il rifiuto della carriera

Ci insegnano che bisogna lavorare non solo per vivere ma mirando alla carriera e con la costante ossessione di dover migliorare se stessi.

Ma chi l’ha detto che debba essere necessariamente così?

Produciamo beni e servizi perché ne abbiamo realmente bisogno o solo perché possano tramutarsi in profitto? 

E la nostra vita? 

Intendo quella vera,fatta di amicizie, amore, passioni e tempo libero che fine fa? Siamo costretti a sacrificarla di continuo in nome della carriera. 

Queste ed altre considerazioni sono state fatte da Alix Faßmann quando, circa due anni fa, decise di abbandonare il suo lavoro di giornalista e addetta stampa per la SPD (il partito socialdemocratico tedesco) e di intraprendere un viaggio chiarificatore in Sicilia. 

Durante questo viaggio ha poi incontrato Anselm Lenz, autore teatrale presso l’Hamburger Spielhaus (uno dei teatri più prestigiosi di Germania), anche lui stanco di una vita fatta solo di carriera che si era appena licenziato ed era partito alla volta dell’Italia.

Fu così che nel 2014 Lenz convinse Faßmann a raggruppare tutte le idee che aveva in mente e di scriverle in un libro dal titolo Arbeit ist nicht unser Leben: Anleitung zur Karriereverweigerung (Il lavoro non è la nostra vita: guida al rifiuto della carriera).

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Il centro

Poco tempo dopo aprirono il centro Haus Bartleby per il “rifiuto della carriera” che si pone come obiettivo quello di elaborare spunti critici verso la società tardocapitalistica e le sue modalità di lavoro.

Il nome del centro si ispira ad un romanzo il cui protagonista lavora come copista presso uno studio legale di Wall Street ma ad un tratto, dopo un periodo di attività intensissima, si rifiuta di continuare la sua ottundente mansione pronunciando la celebre frase I would prefer not toche è appunto lo slogan del centro berlinese.

Questo centro raccoglie professionisti provenienti da tutti i settori che vogliono distruggere l’assunto in base al quale carriera e successo determinano necessariamente il valore di una persona.

Ispirato ad una filosofia marxsiana anticapitalistica il centro considera il lavoro di oggi come: “una malattia” . 

Il problema è rappresentato dalle troppe ore di lavoro, e da una logica fatta di sacrificio del proprio tempo in nome della carriera, e di un’ambizione che costringe a vivere costantemente proiettati nel futuro, nel prossimo step funzionale al successo, mentre nel “qui e ora” non facciamo mai quello che sarebbe giusto per noi.

E ancora la domanda è

A chi serviamo quando ci dedichiamo alla promessa della carriera? 

Non a noi stessi se il nostro lavoro è determinato soltanto dalla necessità economica di portare a casa uno stipendio o dalla pressione sociale che ci impone di raggiungere una posizione adeguata alle aspettative nostre o di chi ci circonda. Ma nemmeno agli altri e al mondo, se il risultato di tanti processi produttivi – materiali o intellettuali – è soltanto «aria fritta» – così definisce Alix Faßmann le sue mansioni alla SPD – o spesso addirittura nocivo.

Non rifiutano il lavoro in se

Questo nuovo filone di pensiero non vuole rifiutare il lavoro in se ma solo soltanto quello eterodiretto (un tempo si sarebbe detto alienato), non incentrato sulla realizzazione delle proprie passioni e dei propri bisogni. Gli stessi fondatori e collaboratori lavorano tanto per il centro e si arrangiano con lavori part-time di vario genere per arrivare alla fine del mese. Ma, anche se i soldi sono pochi e la fatica tanta, sono soddisfatti perché riescono a non perdere il senso di quello che fanno: contribuire a immaginare un nuovo mondo del lavoro.

Simona
Digital story agitator

 

 

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