Cinese is the new black: se il razzismo pubblicitario fa ancora parlar di sè

Alzi la mano chi ricorda lo spot di Coloreria italiana del 2007. 
 

Sì, quello in cui il marito mingherlino veniva malamente gettato in lavatrice per poi uscirne come un aitante ragazzone nero.La Cina raddoppia: ispirandosi alla nota pubblicità nostrana ripropone la stessa identica scena. Solo che stavolta ad essere “smacchiato” è un operaio africano in favore di un affascinante asiatico.

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Lo ammetto, lo spot in sé è divertente. Ciò non toglie però che sia razzista. La discriminazione, d’altronde, non è nuova all’advertising. A confronto con le pubblicità americane anni ’50, lo spot della Coloreria sembra la réclame di Radio Vaticana. Ragazzini neri sbiancati con sapone o vernice chiara, cataloghi di portacenere dalle sembianze afro e donne nere usate come poggiapiedi.  D’altronde il razzismo, in anni di ignoranza e verginità mediatica, non era rivolto solo agli afro-americani. Rimane storico lo slogan delle cravatte Van Hensen “Mostrale che è un mondo di uomini”. O la pubblicità della Schlitz in cui si mostra  una donna disperata per aver stracotto la cena del marito e lui la consola dicendo: « Tranquilla amore, non hai bruciato la birra ».

Si sperava di aver fatto un po’ di strada dal ( non così) lontano 1950. Qualche km in più è stato percorso, ma la meta non può dirsi raggiunta. Gli spot sono meno discriminanti di un tempo e molte aziende hanno sposato nuovi modelli estetici per pubblicizzare i propri prodotti.

Tuttavia il razzismo ha assunto nuove forme, più subdole e meno evidenti, in equilibrio precario tra caricatura, ironia cameratesca e  offesa culturale. Basti pensare ad Ashton Kutcher che impersona un regista di Bollywood nella pubblicità delle patatine Popchips. O Paris Hilton che indossa un copricapo indiano con l’unico effetto di sembrare ridicola. O il sessismo imperante nella moda. Per non parlare dell’omofobia di marche nostrane come Melegatti.

Purtroppo o per fortuna la pubblicità esercita un potere sulla società, determinandone modelli e immaginario comune. E anche se sembra assurdo che determinati fenomeni siano ancora presenti nel 2016, ci si deve fare i conti. E riflettere un po’ prima di buttare un uomo in lavatrice. Al massimo laviamolo senza Coloreria: un uomo arcobaleno può sempre tornare utile per far pendant con i vestiti. 

 

di   IRENE CALTABIANO

 

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