Capi-placebo? L'industria tessile comincia a dire no

Vestiti che durano un mese e poi via, nella spazzatura.

 vestitiI tempi in cui felpe e pantaloni duravano anni o si tramandavano le magliette di sorella in sorella sono lontani. Ormai siamo tutti serial consumer, abbagliati dal miraggio di spendere poco per avere tanto. Si, ma che ce ne facciamo di un vestito che, al primo lavaggio, da rosso diventa bianco?

Le industrie dell’abbigliamento hanno fatto proprio il paradigma della “capo-placebo”. Uno shopping psicologicamente confortante perché economico, ma, a conti fatti, sprecone all’inverosimile. Produrre di più significa meno qualità e sfruttamento di manodopera a basso costo.

I romantici, gli affezionati ai vestiti eterni, o semplicemente quelli per cui la moda è un mondo sconosciuto, non si rassegnano. La soluzione? Una via di mezzo tra il maglione della nonna e le ultime avanguardie tecnologiche. Molte aziende stanno andando nella direzione di creazione di tessuti sostenibili. Tom Cridland, brand famoso per creare vestiti dal colore unico, con clienti in ogni parte del mondo, ha creato la linea 30 years, ovvero abbigliamento che dovrebbe durare per poco meno di mezzo secolo. L’ultimo arrivato è il maglione. Costo? 92 dollari. Niente di troppo esoso.

Altro progetto interessante è lEthical Fashion Initiative, presentato a New York, dall’italiano Simone Cipriani .L’obiettivo è impegnarsi per un’industria della moda sempre più responsabile ,dove ciascuno abbia condizioni di lavoro dignitose e che diminuisca l’impatto sull’ambiente. Lo slogan della campagna è infatti Less Charity, more work. Lo scopo è anche aiutare i fashion designer africani, incoraggiandoli a creare collaborazioni con gli artigiani locali. Grandi firme come Vivianne Westwood e Stella McCartey hanno già aderito all’iniziativa.

Pochi sanno che l’abbigliamento è il secondo settore più inquinante dopo il petrolio. Ciò dipende dal fatto che, rispetto a soli  venti anni fa, compriamo il 400% in più di capi. Molto economici, ma alla lunga, non ci sarà forse un prezzo più alto da pagare? 

 

Irene Caltabiano

 
 
 
 

 

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